mercoledì 15 marzo 2017
Dopo le squalifiche per doping delle sue rivali nel sollevamento pesi la samoana Opeloge riceve adesso l'argento di Pechino. Tra il 2008 e il 20012 ben 32 podi su 90 sono stati annullati
A Ele Opeloge a cui è stata recapitata da poco la medaglia d'argento nel sollevamento pesi per i Giochi di Pechino 2008

A Ele Opeloge a cui è stata recapitata da poco la medaglia d'argento nel sollevamento pesi per i Giochi di Pechino 2008

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Nessuna cerimonia, nessun podio, nessuna lacrima di commozione. Poi certo, un festeggiamento pubblico sicuramente verrà organizzato, ma quando una medaglia olimpica arriva tramite corriere espresso, a otto anni e mezzo di distanza, emozioni e sensazioni non possono nemmeno avvicinarsi a quelle che si sarebbero vissute nell’attimo cruciale. Ele Opeloge quella medaglia, una medaglia d’argento, da alcuni giorni ce l’ha a casa, e si tratta di un alloro in qualche modo storico, per i suoi connazionali a tutti gli effetti una pietra miliare perché mai nessuno, prima di lei, era rientrato a Samoa dalle Olimpiadi con una medaglia al collo. In realtà, non era accaduto nemmeno a Ele perché il 16 agosto 2008, quando a Pechino si disputava la finale del sollevamento pesi femminile categoria oltre 75 kg, con i 269 kg totali alzati tra strappo (119) e slancio (150), la samoana, allora 23enne, si classificò al quinto posto, dietro alla sudcoreana Jang Mi-Ran - tre record del mondo per lei - eccellente medaglia d’oro, all’ucraina Olha Korobka seconda e alla kazaka Mariya Grabovetskaya, terza. Sogno sfumato dunque per la Opeloge, anche perché la Grabovetskaya aveva ottenuto il bronzo per un solo chilogrammo in più di Ele (120 kg sullo strappo), un’inezia di fronte a certi pesi, abbastanza però per segnare il confine tra il podio e la beffa, tra l’opportunità di fare la storia dello sport del proprio paese e la necessità di dovere ritentare di lì a quattro anni per riuscirci davvero.

E pensare che Ele era stata la portabandiera della delegazione di Samoa a Pechino e le aspettative nei suoi confronti erano elevate: in tanti pensavano che sarebbe stata lei, per prima, a dare allo stato insulare del Pacifico meridionale una dignità sportiva che andasse oltre il rugby, in cui il XV samoano può contare su un ranking di grande prestigio, nonostante un bacino di reclutamento decisamente trascurabile. È stato così, ma solo a distanza di otto anni, e a causa doping. Già, perché la medaglia ricevuta ex post dalla Opeloge è figlia delle contemporanee squalifiche della Korobka e della Grabovetskaya, trovate positive nel 2016, con prudente ritardo rispetto all’evento, al dehydrochlormethyltestosterone e all’oxandrolone, due steroidi anabolizzanti vietati dalla Wada. Solo a quel punto Opeloge ha visto il proprio nome su un podio che non ha mai salito, su una piazza d’onore meritata ma di fatto sconosciuta nella realtà, e si è vista consegnare, in maniera piuttosto irrituale, quella medaglia d’argento che la ripaga di chissà quante ore di allenamento, le assegna un posto di primissimo piano nello sport samoano ma non le ridarà mai quello che avrebbe potuto provare se il doping di due rivali non l’avesse privata del risultato.

Al di là della riscrittura degli esiti di quella gara, e di quanto questi abbiano effetto a posteriori sul prestigio del comitato olimpico samoano e della stessa Opeloge, più in generale il sollevamento pesi merita un discorso più ampio, soprattutto a livello di Olimpiadi. Il 2016, in questo senso, si è rivelato per il movimento un anno disastroso, perché in pochi mesi - anche grazie alla eco del rapporto McLaren e ad alcuni test mirati sono stati oltre quaranta gli atleti squalificati dal Cio dopo che ulteriori analisi e controanalisi sui campioni di urina raccolti e conservati relativi ai Giochi di Pechino 2008 e Londra 2012 hanno dato esito positivo. Fra le sostanze scoperte, c’è l’imbarazzo della scelta: si va dallo stanozololo, un derivato sintetico del testosterone, alla stricnina, passando appunto per il dehydrochlormethyltestosterone che, evidentemente, era lo steroide proibito più in voga tra i sollevatori. Squalificati nomi illustri, quali il kazako Ilya Ilyin, oro sia a Pechino che a Londra nei 94 kg, le cinesi Xiexia Chen, Liu Chunhong e Lei Cao, la kazaka Maiya Maneza, tutte vincitrici nelle rispettive categorie della medaglia più ambita.

In tutto sono state ritirate ai vincitori originari, e truffaldini, ben 32 medaglie (16 per Pechino, altrettante per Londra) su 90 consegnate, vale a dire oltre un terzo; con un imbarazzante record per la categoria maschile 94 kg di Londra 2012: squalificati primo, secondo, terzo, quarto, sesto e settimo classificato. Un’ecatombe di dopati che ha portato alla riassegnazione di 29 medaglie ad atleti che si erano classificati fuori dal podio, mentre tre medaglie d’oro femminili dei Giochi cinesi risultano ora vacanti, e verosimilmente non saranno assegnate. Viene da chiedersi a che cosa spettatori, appassionati e anche giornalisti abbiano assistito nei giorni di gara: sfide alterate dalla chimica, risultati falsati. Ripensare ora agli inni, alle bandiere e alle lacrime di quei podi ingloriosi, in una prospettiva olimpica fa davvero effetto. E Rio 2016, peraltro, è già a quota due, nel computo delle medaglie cancellate in uno sport la cui credibilità, ora, si è persa nei laboratori fra tracce di sostanze che si addicono al lavoro di medici e ricercatori; non degli sportivi.

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