E Verdi come ha riversato questa umanità in musica?
Portando nelle sue opere i valori della sua gente. «Sono un contadino delle Roncole» diceva di sé. Un uomo della terra con i valori della terra. Si alzava alle 5 della mattina e andava a visitare i suoi campi. Burbero, dicevo. Questo suo lato lo si ritrova nella "Vendetta" di Rigoletto, quella che il pubblico mi chiede sempre di bissare. Mi sono domandato il perché. Per sentire il la bemolle? Non proprio. Ma forse perché tutti abbiamo qualche scheletro nell’armadio da esorcizzare, vedendolo sul palco e magari dando la colpa, come fa Rigoletto, alla maledizione. Ecco la grandezza di Verdi che ci stana con la sua musica. Per questo certe attualizzazioni registiche appaiono forzate.
Quindi niente «Rigoletto» in jeans…
La regia la fa già Verdi nelle sue partiture, nel suo fare prima di tutto teatro. Per questo occorre il massimo rispetto per un autore che dice «Guardiamo al passato se vogliamo andare avanti». Verdi è stato l’unico a innovare davvero il melodramma. Prima di lui i ruoli erano codificati: il tenore innamorato del soprano ostacolato dal baritono. Il maestro, invece, porta tutti i personaggi allo stesso livello, comprimari compresi, perché tutti sono importanti in quanto portano un po’ di umanità. Peccato che il Verismo non ha saputo far sua questa lezione tornando indietro. E anche per questo mi tengo stretto il mio Verdi.
Anche perché i ruoli per baritono sono profondi e carichi di umanità.
I grandi padri raccontati da Verdi. Penso a Rigoletto, Nabucco, penso a Luisa Miller dove i protagonisti sono due padri, uno espressione del potere che si perpetua, Walter, l’altro, Miller, della libertà e della speranza. Nelle sue parole vedo una eco di quelle che quotidianamente va ripetendo papa Francesco.