sabato 16 maggio 2020
Iss e Inail limita la tecnica “bocca a bocca” ai soccorritori in mare per evitare il contagio da Covid-19. Ma questo apre a una riflessione su libertà, vita e rischio
Covid-19 e il soccorso “vietato”. Ma il dono del respiro è arte di vita vera

Jeremy Bishop / Unsplash

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Il respiro è l’urgenza primaria della nostra esistenza. Prima della sete e della fame sentiamo la mancanza del soffio vitale, processo chiaro e inspiegabile che si perpetua migliaia di volte al giorno indipendentemente dalla nostra consapevolezza. Sentire il respiro di qualcuno nel sonno è un miracolo che si rinnova, che conforta e al tempo stesso palesa il filo tenue a cui siamo appesi. Misura perfetta di quanto la nostra vita sia legata all’impercettibile equilibrio di un meccanismo preciso e fragile. Riportato improvvisamente alla ribalta da un virus eclettico e imprevedibile che nel giro di due mesi ha dato uno scossone piuttosto energico al nostro mondo anestetizzato di mercato e superficialità votati alla negazione contro ogni evidenza di morte e sofferenza.

Il respiro si può regalare. Da appassionato di apnea e profondità, anni fa ho preso il brevetto di salvataggio, licenza di una responsabilità meravigliosa e temibile, che deve mettere insieme controllo e irrazionalità se viene chiamata all’azione. Molto lontana dalle rappresentazioni plastificate alla Bay Watch e simili. Questa riflessione non intende essere logica, di quella logica così comune in questi giorni, farcita di schemi morali e sociali artefatti, recitata fino al punto della nausea, e distante dalla vita vera della gente. La licenza di ridiscutere le nostre libertà tende naturalmente a debordare, sotto le fanfare dell’emergenza, ma non sempre rimane nei confini doverosi di condizione necessaria e sufficiente al diritto.

È apparso da poco un documento redatto dall’Istituto superiore di sanità (Iss) e Inail in cui una norma sembra limitare l’intervento del soccorso di un potenziale annegato alle compressioni del torace senza insufflazione di aria, per evitare possibili contaminazioni da Covid-19. Il soccorritore deve valutare il respiro della vittima attraverso la «osservazione», (...) «ma senza avvicinare il proprio volto a quello della persona e di eseguire le sole compressioni (senza ventilazioni) con le modalità riportate nelle linee guida».

Immagino che gli operatori di salvataggio verranno forniti di attrezzature come l’ambu, che possano sopperire in qualche modo all’insufflazione delle respirazioni bocca a bocca. Non sarà facile, e certamente vi saranno comunque dei casi in cui l’attrezzatura manca per l’urgenza dell’intervento, che non avvisa mai prima di accadere.

Il salvataggio si basa su una primaria, insostituibile risorsa: l’intervento umano. Ovviamente è necessario proteggere i soccorritori nel modo più ampio possibile. Da qui la necessità di normare. Ma la norma non può e non deve toccare ogni singolo aspetto dell’esistenza, che rivendica l’esigenza di capacità, responsabilità e libertà decisionale.

Se c’è un fatto che si avvicina alla storia di Lazzaro è proprio il regalo del respiro che il soccorritore fa alla vittima. Attraverso la bocca dà e regala vita, non di rado con successo. Questa non è mai stata e non potrà mai essere un’operazione asettica, dai protocolli precisi e rifiniti come recita ormai il mito dell’utopia da inseguire. Lo scambio di aria prevede una promiscuità di fluidi inevitabile, forse non elegante per il borghese, ma di una bellezza travolgente. La bellezza del dono che si compromette con l’altro completamente. Ossigeno e saliva, liquidi corporei e vomito. Da lì, che lo vogliamo o no, passa la vita.

Non è un’immagine bella? È una immagine meravigliosa, con tutta la sua vitale immanenza iconografica. Non si può rendere asettico un salvataggio. Il salvataggio è il gesto di libertà che diviene servizio all’altro e può riportare alla vita. A pensarci bene è una follia. Ma è quella follia che, sola, rende la vita piena e degna di essere vissuta, rischiata e regalata.

Il soccorritore deve essere tutelato al massimo, ma deve essere lasciato libero di rischiare, perchè in quel rischio sta il riscatto dell’esistenza di ognuno di noi. Non si deve, non si può, con le norme, tarpare le ali alla possibilità libera e decisiva di rischiare salute e vita per gli altri. Proteggersi e proteggere è legittimo, ma bisogna rinunciare a un lavaggio del cervello che porti a immaginare una vita senza rischio, senza contaminazione, senza gioco, anche quando la posta è la vita stessa. Una società che per norma indica una via in cui non si può più decidere di regalare il respiro, a proprio rischio, è una società avviata alla contenzione disumana dell’irrazionale e miracolosa forza che consente alla vita di circolare per osmosi tra gli esseri umani. Proprio come un virus.

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