Sessantaquattro partite, trenta giorni di gol, 32 squadre, 12 stadi (alcuni dei quali ancora da completare), una Coppa. Niente è a posto, molto poco è in ordine. Quindi si può cominciare. Anzi si deve. All’Arena Amazonia di Manaus, dove l’Italia esordirà sabato contro l’Inghilterra, il terreno di gioco è annunciato in condizioni pietose, con l’erba gialla in alcune zone, praticamente assente in altre. Ed è solo un esempio.Inizia stasera un Mondiale diverso, senza favoriti. Troppo scontato che lo vinca il Brasile, troppo difficile che possa farlo l’Italia. Ci sono almeno sei nazionali quasi sullo stesso livello, il resto è destino, forma del momento, fortuna. Inizia un carnevale lungo un mese, un trenino di gioia, gol, colori. E miseria nera tutto intorno. Quando nel 2007 fu assegnato al Brasile, il paese del calcio, il Mondiale sembrava destinato ad essere una festa nel nome del dio pallone, sabbia e samba. Sette anni dopo le condizioni sono cambiate, e si sa che quando rallenta l’economia accelerano le inquietudini: per questo a poche ore dal loro esordio stasera contro la Croazia, i brasiliani pronunciano con sempre maggiore insistenza la parola «medo». Significa paura. Che si ripeta la tragica beffa del “Maracanazo”, quando i cugini di campagna urugayani si presentarono a Rio e si presero la Coppa del Mondo: sono passati 64 anni e il Brasile continua a piangere per quella tragedia sportiva molto più che per i tanti suicidi conseguenti. Paura, poi, che a vincere sia l’odiata rivale calcistica Argentina, con il suo piccolo principe Messi. Paura soprattutto che il Paese si riveli meno forte di quanto creduto e con le manifestazioni di protesta venga giù il sistema della speranza, come sono venute giù le impalcature degli stadi in costruzione, portandosi dietro la vita di alcuni di quelli che li costruivano.È un Paese, il Brasile al tempo del Mondiale, con un’ansia da prestazione quasi insopportabile. «Anche arrivare secondi sarebbe andare all’inferno», dicono a Copacabana, nei boulevard di Brasilia e nelle ville blindate di San Paolo. Eppure dove sta scritto che la Selecao sia strafavorita per il titolo mondiale, anzi che lo abbia già vinto come sostengono gli analisti di Goldman Sachs? Più che nel talento di Neymar (O Ney, lo chiamano parafrasando Pelè, ma c’è tanta nostalgia nel soprannome) a pensarci bene solo in un elemento di valutazione: questo Brasile non ha poesia, ma le ultime volte che la squadra verdeoro ha fatto calcio in prosa, la coppa l’ha vinta. È andata così nel 1994, quando il simbolo della Selecao era un muscolare come Dunga, ed è andata così nel 2002 in quell’edizione strana da Estremo Oriente. Ma il mondiale delle prime volte (dei time out per contrastare caldo e umidità, e della gol line technlogy per evitare i gol fantasma) potrebbe tranquillamente regalare una sorpresa.Tecnicamente non sarebbe neppure tale, una vittoria della eterna Germania del pallone o dell’Argentina carica di talenti. Nè un bis della Spagna campione in carica, sebbene a rischio usura per il tempo che passa e la pancia piena di successi. Una sorpresa vera sarebbe un successo del pur gettonatissimo Belgio dei giovani leoni, da Courtouois a Hazard. O della interessantissima novità rappresentata dalla Bosnia di Pjanic.L’Italia di Prandelli per rango non può essere rubricata tra gli outsider, per consistenza tecnica sì. Al di là di una marcia di avvicinamento tutt’altro che esaltante, deve preoccupare il fatto che due anni dopo l’ottimo europeo gli azzurri siano ancora appesi agli estri di Balotelli e Cassano (che, detto per inciso, fino a poco tempo fa il ct non aveva nessuna intenzione di portare in Brasile). Non si vedono, insomma, miglioramenti rispetto al torneo continentale nonostante un po’di qualità possa arrivare dai giovani Verratti e Immobile. Ma qui c’è tutto il mondo, non solo l’Europa, a cominciare da un girone insidioso per gli azzurri, con due nazionali già vincitrici del titolo (Inghilterra e Uruguay fanno paura) oltre alla “cenerentola” Costa Rica.Manca una candidatura decisa tra le africane, che non sono mai arrivate in semifinale: stavolta la nazionale più consistente sul piano tecnico viene considerata la Costa d’Avorio di Drogba e Gervinho. Il Portogallo di Cristiano Ronaldo spera che la sua stella abbia recuperato dalle fatiche di una stagione lunghissima, la Russia del supertifoso Putin (annunciato in tribuna per una delle partite) ha il suo punto di forza nell’allenatore Capello: difficile che arrivino fino in fondo. Attenzione meritano l’Olanda di Robben, finalista in Sudafrica, e le emergenti nazionali di Cile, con Vidal, e Colombia, priva di Falcao ma guidata da Cuadrado. Ed è da seguire anche il Giappone guidato dal terzo ct italiano, Zaccheroni. Non sarà un trenino festoso, insomma, e le tensioni sociali basiliane, alimentate anche dalle scadenze elettorali di quest’anno, si faranno sentire: ma per motivi tecnici e campioni presenti la festa del pallone resta assicurata.