Nicola Pietrangeli - Ansa
Alle sue spalle, sullo sfondo, lo stadio che porta il suo nome. Occhiali da sole a coprire parzialmente gli occhi azzurri che si accendono quando si parla di tennis. Ma guai a nominare l’«era moderna». «Il tennis è il tennis, io mica giocavo con le scarpe da pallone e la racchetta da ping pong». Nicola Pietrangeli è a casa sua. Al Foro Italico, nella terrazza posizionata sopra l’ex Bar del Tennis, da dove si dominano tutti i campi.
Pietrangeli, questi Internazionali sono orfani di Sinner…
«Dispiace che abbia dovuto rinunciare proprio a Roma. Ma l’anca è pericolosa, deve stare molto attento. Questi sacrifici vanno fatti per ritornare più forte di prima¸».
Sfatiamo una volta per tutte le voci secondo cui lei ce l’avrebbe con Sinner?
«Ma io dico: come si fa? È giovane, un bel ragazzo, il numero 2 del mondo. Non sono così stupido da essere invidioso. È una chicca che Qualcuno – non so chi - ci ha inviato per il nostro tennis. Ma che vogliamo di più? Spero che torni il prima possibile».
Ha fatto male ad andare a Madrid?
«Secondo me no. Evidentemente se la sentiva di giocare, poi si è accorto che qualcosa non andava e si è fermato».
Lei ha mai accusato un problema simile in carriera?
«Solo dopo aver finito di giocare. Parliamo di almeno 25 anni fa. Non camminavo più. Ho fatto gli esami e li ho portati da un luminare dell’epoca che ora non c’è più, il prof. Spotorno, conosciuto come il “mago dell’anca”. E lui mi disse: “Ma lei come fa a camminare? Non ha più la cartilagine sull’anca sinistra. Ma anche l’altra era malandata”. Eravamo a giugno. Aggiunse: “Questa a fine anno è uguale all’altra. Io le farei tutte e due”. Insomma, dovetti operarmi a entrambe le anche».
Che consiglio si sente di dargli adesso?
«Non mi sono mai permesso di dargli consigli perché ha una grande squadra che lo segue e non credo che sia giusto immischiarsi».
Non gliene ha mai dato nemmeno uno?
«Solo una volta, ma era una semplice indicazione».
Ovvero?
«Che non c’è bisogno sempre di tirare così forte. Certe volte basta appoggiare la palla per fare punto, bisogna risparmiarsi per prolungare la carriera».
Lei ha sempre detto che ai suoi tempi ci si allenava giocando. Ma non è che questi ragazzi si allenano troppo?
«Prima eri un talento che diventava anche un po’ atleta. Adesso se non sei atleta, non puoi neanche entrare in campo».
Resta Djokovic il favorito di questi Internazionali?
«Djokovic è Djokovic. Basta. Molti dicono che è antipatico, che è qua che è là. Ma se sei un tennista, davanti a lui ti alzi in piedi e ti levi il cappello. Ha vinto più di tutti. Forse non sarà il più grande di tutti i tempi, perché ognuno è campione nella sua epoca, ma vallo a battere…»
Nadal fa bene a insistere?
«Io non capisco chi dice che dovrebbe mollare. Se si diverte ancora, giochi pure. Le sconfitte non macchieranno tutto ciò che ha fatto prima. Nadal rimarrà Nadal, per sempre».
Lei ha vinto gli internazionali due volte nel 1957 e nel 1961. Due vittorie completamente diverse. La prima a Roma contro Merlo, la seconda a Torino contro Rod Laver nel torneo del centenario dell’Unità d’Italia. A quale è più affezionato?
«Sicuramente alla vittoria contro Laver. All’epoca era il numero uno indiscusso. Ed è divertente perché spesso dice: "Meno male che con Nicola ho giocato una volta sola sulla terra". Vinse il primo set, ma nei successivi tre portò a casa solo quattro game. Probabilmente ho giocato bene (ride, ndr). Le altre volte ci siamo incontrati sull’erba che era il suo pane. Ma una cosa è battere Laver, un’altra battere Merlo, anche se Peppino non era un avversario affatto facile, credetemi».
A Roma è arrivato anche in finale di doppio otto volte senza mai vincere. Quest’anno c’è una coppia italiana che punta alla vittoria, Bolelli e Vavassori.
«Faccio il tifo per loro e spero che possano riportare la gente a vedere il doppio, che è spettacolare e divertente».
Una curiosità, ma che cosa fa Nicola Pietrangeli quando non si interessa di tennis?
«Be', comincio ad avere un’età molto avanzata. Dormo molto. Ovviamente non gioco più, ma c’è questo arnese che molto spesso viene criticato che è la televisione. È il salvavita dei vecchi. Abbiamo per fortuna 850mila canali (ride, ndr) di tutti i generi. Puoi vedere le cose serie e quelle meno serie. In un periodo difficile come il nostro preferisco distrarmi con le cose meno serie».
Il calcio lo guarda ancora?
«Sono un po’ laziale. Ma non tifoso. Gli italiani invece sono quasi tutti tifosi, ma non sportivi. Se la Lazio vince mi fa piacere, se perde non ne faccio un dramma. Mai stato antiromanista. Questa cosa di essere anti non la capisco. Dico sempre pensa alle “corna” tue. In genere però il calcio non mi piace più molto, perché parlano di spettacolo, ma spesso non ce n’è. Ho visto recentemente Monza-Lazio. Spettacolo? Da cinque euro…»
Che rapporto ha con la fede? In passato ha detto che si rivolgeva a Dio solo quando le serviva qualcosa. E adesso?
«Non è cambiato. Come tutti i vigliacchi anch’io lo chiamo quando ne ho bisogno. Lo so che è poco, ma la sera, prima di addormentarmi, un segno della croce lo faccio sempre. È quasi una forma di prevenzione».
Il suo desiderio per il futuro del tennis italiano?
«Adesso è facile dire: io l’avevo previsto. Ma davvero a settembre dello scorso anno, in una intervista affermai che l’Italia poteva vincere la Davis. E così è avvenuto. Se Berrettini rientra anche solo all’80 per cento, secondo me non ce n’è più per nessuno. E per diverso tempo. Perché non vedo un’altra squadra forte come quella italiana. Con Sinner e Berrettini (e adesso abbiamo anche un ottimo doppio), diventerà noioso vincere la Coppa Davis».