Lo Squalo fa il cannibale, ma non fagocita insaziabile e rabbioso, mangia con appetito, quello si. Non tramortisce la preda: perché dopo tre settimane di corsa la trova già bella e pronta da mangiare. È il caso di ieri. Vincenzo Nibali vuole vincere, questo è chiaro fin dal mattino. Dopo aver vinto in Inghilterra, sui Vosgi e sulle Alpi, vuole anche i Pirenei. Li vuole per se, per la squadra, per gli sportivi che qui in Francia sono incantati dalle gesta del nostro campione. Nibali controlla la corsa. La fuga di giornata va, ma non prende mai veramente il largo. Resta lì, a portata di mano. Sul Tourmalet passa per primo - e per la prima volta nella storia - un magrebino, Blel Kadri. Sull’ultima salita verso Hautacam, poi, la maglia gialla completa l’opera. In fuga è rimasto tutto solo Mikel Nieve, dietro scatta Chris Horner, vincitore del Giro di Spagna di un anno fa, alla sua ruota si porta il solo Nibali. Il gruppo non reagisce nemmeno. Sono tutti impietriti. Loro fanno un’altra corsa. Vincenzo procede per un po’ con l’americano, poi lo affianca, lo guarda e parte deciso. Fine dei discorsi. Nibali fila via veloce, sorpassa Nieve e va, tutto solo, a prendersi l’applauso del pubblico di Hautacam. Impresa mostruosa? No, basta guardare i tempi, anche se spesso vanno contestualizzati alla tappa, a come la si è corsa. In ogni caso il cronometro dice che i 13,6 km della salita sono stati percorsi da Bjarne Riis (nel 1996) in 34’35”: è il record. Pantani nel ’94 fece 35’37”, poi, Armstrong 36’20”. Nibali, ieri, ha percorso la stessa salita facendo registrare il tempo di 37’20”: abbondantemente sopra. Vuol dire qualcosa? Vuol dire niente? Ve lo proponiamo, per una riflessione. «Oggi (ieri, ndr) – ha spiegato Nibali – non era per classifica. Volevo un’altra vittoria di tappa. Una vittoria qui sui Pirenei era importante per tutta la squadra, per tutti i ragazzi che hanno lavorato alla grande. Dovevo ripagarli». Tutti incantati e stregati dalla “pulce dei Pirenei”, come il piccolo Nibali veniva chiamato in Sicilia da alcuni amici del padre. «Ero piccolino e gracile, avevo sette anni e quello fu il primo diminutivo che mi diedero. “Pulce dei Pirenei”, come lo scalatore spagnolo Trueba», che si chiamava Vincente, un Vincenzo di Spagna. Poi gli chiedono: ormai sei il padrone del Tour… Lui risponde calmo e serafico: «È un vantaggio molto buono e posso stare abbastanza tranquillo in previsione delle prossime tappe. Anche l’anno scorso al Giro d’Italia avevo un vantaggio simile. Domani cerchiamo di fare una tappa calma, ma sarà difficile. E poi c’è da fare sempre questa cronometro». È felice Vincenzo, e parla da vincitore del Tour, anche se non lo vuole dire, ma non fa nulla per non farlo vedere. Basta ascoltarlo, guardarlo in faccia: «Ogni arrivo ho cercato di guadagnare qualcosa. Poi c’è da dire che il Tour quest’anno è stato bello, duro e difficile: ci sono stati tanti tranelli. Molto diverso rispetto a quello di due anni fa: con tanta pianura e due soli arrivi in salita». Tutti in piedi, passa Nibali. E il primo a decantare i suoi meriti e a sperticarsi in elogi è Bernard Hinault, uno che di Tour ne ha vinti cinque: «Sul pavé è stato eccezionale, pedalava con una straordinaria facilità, come se lo avesse percorso tante volte. Ha amministrato bene il suo vantaggio. È chiaramente il più forte e merita di arrivare a Parigi in giallo».