Il portiere della Nazionale campione d’Europa Gigio Donnarumma a cui Fumagalli ha dedicato una poesia - Ansa
Pier Paolo Pasolini fu il primo a distinguere nettamente tra il «calcio di prosa » e il «calcio di poesia». E di “poeti del gol” in campo se ne sono visti diversi, di “nome”, come i “7” granata, cuore Toro, Gigi Meroni e Claudio Sala e di “fatto”, per essersi cimentati direttamente nel campo della poesia, come fece fino all’ultimo respiro il più irregolare e fragile dei calciatori-poeti, Ezio Vendrame. Di componimenti e versi dedicati al fantastico mondo della memoria di cuoio, se ne sono letti altrettanti, ma il vertice forse l’ha toccato, almeno per “stile”, Valentino Zeichen, quando nel 1974, anno del primo tricolore della sua squadra del cuore, la Lazio di Maestrelli e Chinaglia, diede alle stampe – con la corsara Cooperativa Scrittori, introduzione di Elio Pagliarani – la raccolta Area di rigore. Per “originalità”, rimane una pietra miliare il libro di ritratti poetici di Fernando Acitelli, sul quale nel 1998 scommise addirittura l’Einaudi pubblicandoLa solitudine dell’ala destra.
Tra questi due solchi, stile e originalità, ora si colloca un piccolo scrigno essenziale come Poesie nel pallone (Iride. Pagine 58. Euro 10.00) di Roberto Fumagalli. Un “cervello in fuga”, poeta prestato dal regale King’s College di Londra dove insegna Filosofia Politica ed Economia. Il suo calcio d’inizio poetico parte da Nel ventre dello stadio e dall’assioma esistenziale che in prefazione ha colpito anche Mario Sconcerti, quando Fumagalli scrive: «In questa partita un po’ noi tutti / lottiamo fuori casa / cercando il nostro ruolo /di rado ci è concesso / di comandare il gioco».
Come Acitelli ha celebrato quei piccoli eroi esemplari del pallone, da Fuffo Bernardini a Di Bartolomei, anche Fumagalli andando a difesa estrema degli imprescindibili Ventidue cretini inneggia ad ArrigoSacchi («i tuoi occhiali scuri così profondi / così grandi che parevano figli d’altri mondi.../ ») come al Divin Codino Roberto Baggio. C’è un filo azzurro, senza tenebra, che pervade questi versi scarni, quasi alla Caproni, in cui non manca l’ode agli dei assoluti di Eupalla: Pelè e Maradona. Ma il gran finale è dedicato ai campioni manciniani di Euro 2020, con una chiosa quasi da postmazziniano in esilio londinese: «Matando di rigore e Donnarumma, la truppa di Luis, il gran signore, facendo esplodere la bile della vanagloriosa Albione».