Solo la facciata della chiesa di San Francesco è ancora in piedi. Tutta imbragata. Dietro soltanto un cumulo di macerie. Pietre e polvere. Transennata perché c’è assoluto «Divieto di accesso». Così come per il Duomo che per poter essere riaperto «occorreranno anni» dice il parroco, don Carlo Truzzi. Eppure per un attimo la musica dell’organo sembra venire da lì. Dal Duomo. O da San Francesco. Dove è risuonata tante volte accompagnando matrimoni e funerali. Che oggi si celebrano fuori dalla zona rossa, sotto un tendone dove si gioca a tennis o in una grande sala. L’organo che Giuseppe Verdi mette nella
Forza del destino è nascosto tra i leggii dell’Orchestra giovanile Lugi Cherubini e dell’Orchestra giovanile italiana, su un grande palco costruito in piazza della Costituente. Impalcature tubolari, come quelle che puntellano le case e i palazzi. Il cuore di Mirandola, uno dei paesi più colpiti dal terremoto del maggio 2012 in Emilia Romagna, per una sera è tornato a riempirsi. Perché Riccardo Muti ha portato «un abbraccio alle popolazioni colpite dal sisma». Un abbraccio in musica. A Mirandola l’altra sera ha fatto tappa l’edizione 2013 de
Le vie dell’amicizia, un ponte di fratellanza che dal 1997, quando Muti volò nella Sarajevo ferita dalla guerra, Ravenna festival porta in alcune città del mondo dove la violenza lascia spazio a germi di speranza. A Mirandola la violenza del terremoto l’hanno ancora bene impressa nelle gambe, negli occhi, ha ferito l’anima. Palazzi vuoti, qualche tapparella lasciata a metà, un garage aperto con una bici buttata lì dicono che quando la scossa del 29 maggio si è fatta sentire si è mollato tutto per mettersi in salvo. Ma da qualche finestra esce anche la voce della tv con il quiz della sera. L’intonaco della facciata è fresco. Il colore brillante, appena dato. Eccola la speranza di chi si è rimboccato le maniche e prova a ripartire. Come la dottoressa che lasciato l’ambulatorio in centro e ora «riceve nella zona dei container» o la ragazza cinese che ha riaperto il suo negozio di ricambi per telefonini a due passi dal Duomo. «Siamo in 15mila e andiamo avanti grazie alla solidarietà dei legami familiari, alle manifestazioni di vicinanza di tutta l’Italia e nonostante la burocrazia che sfianca» dice don Carlo, anche lui in piazza tra la gente. «Sono rimasto colpito dalle ferite che ho visto, ma ancora di più dal coraggio e dalla voglia di fare della gente di Mirandola» dice Muti dal palco prima di dare l’attacco ai tromboni per la Sinfonia da
La forza del destino. Il maestro ha voluto mettere sul leggio solo pagine di Verdi, «un figlio di questa terra emiliana che dice che non possiamo dimenticarci delle nostre radici», che risuona con il suo inconfondibile zum-pa-pà della
Traviata o del
Trovatore, di
Ballo in maschera e
Nabucco. Musica e parole che un po’ ti fanno sentire a casa. C’è chi le canticchia sottovoce. O chi non si trattiene e nel
Va’ pensiero finale si unisce al coro che in realtà sono tanti cori, quello del Municipale di Piacenza e le corali di Modena, Sassuolo e Mirandola che Muti ha voluto insieme (e con gli orchestrali suonano i giovani allievi dell’Istituto musicale Vecchi-Tonelli di Modena e Carpi) per far risuonare le voci di questa terra.
Va’ pensiero che per Muti «questa sera qui si fa vita e speranza di chi cerca pace, di chi cerca quella bellezza che Mirandola conserva intatta anche sotto le macerie». Quelle della zona rossa che ci si lascia alle spalle, camminando verso il campo sportivo. Dove tra i container continua a battere il cuore di Mirandola.