La "esse" non la pronuncia ancora bene. Ma è cosa da poco. «Devo ringraziare il Padre Eterno che mi ha salvato perché nel modo in cui sono caduto, adesso potevo essere su una sedia a rotelle oppure non parlare». Riccardo Muti se l’è vista davvero brutta lo scorso 3 febbraio quando, in prova con la Chicago symphony, ebbe uno svenimento e cadde dal podio. Tanta paura. Un’operazione chirurgica. E l’annullamento dei concerti americani. Quattro mesi dopo, il direttore d’orchestra rilegge con occhi diversi quell’episodio. Lo fa a Trieste dove ieri il sindaco Roberto Dipiazza gli ha conferito la cittadinanza onoraria. Per ringraziarlo di essere stato «protagonista con il suo prestigioso talento di un evento di pace destinato a segnare la storia e il futuro della città». L’evento è il concerto delle Vie dell’Amicizia diretto da Muti il 13 luglio dello scorso anno a Trieste quando seduti uno a fianco all’altro in piazza Unità d’Italia c’erano il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il capo di Stato sloveno Danilo Turk e quello croato Ivo Josipovic. Un momento di riappacificazione. Una serata che, per il maestro, «ha dimostrato come culture e religioni diverse possano convivere nel nome della fratellanza e della bellezza». Sul leggio c’era il
Requiem in do minore di Luigi Cherubini. Ricordandolo, Muti ne ha approfittato per parlare di musica sacra. Ringraziando Papa Benedetto XVI per l’auspicio, espresso più volte, che «nelle chiese si torni al grande patrimonio musicale. Bisogna dire basta – ha detto il direttore d’orchestra – a canzonette o strimpellate di chitarra su testi inutili e insulsi». Muti ha spiegato che «la grande storia della musica è dovuta proprio a quello che la Chiesa ha fatto. Non capisco perché una volta c’erano Mozart e Bach mentre ora si va avanti a canzonette: così non si ha rispetto per l’intelligenza delle persone. Anche l’uomo più semplice e lontano, sentendo l’Ave verum può essere trasportato verso una dimensione spirituale, ma se sente le canzonette è come stare in un altro posto». Muti se l’è presa poi anche con i «flautini infami usati nell’educazione musicale nelle scuole». Ed è tornato sulla situazione della musica in Italia, dopo aver contribuito con le sue pressioni sul ministro Tremonti al reintegro del Fondo unico per lo spettacolo. «Il problema della cultura va affrontato in maniera massiccia, non solo dando dei soldi, ma mettendo tutta l’attività culturale in condizione di poter vivere e non sopravvivere». Perché, e qui l’affondo al clima politico di questi giorni, «siamo un Paese strepitoso, ma portiamo dentro di noi una voglia di controversia continua per cui invece di risolvere i problemi perdiamo tanto tempo ad accapigliarci».