lunedì 2 novembre 2009
Sono passati vent’anni dalla caduta della cortina di ferro. Per i tedeschi nati dopo l’89 è come un secolo. Per gli altri è un anniversario dalle tinte ambigue. Perché, accanto alla libertà ritrovata, cresce l’amarezza per il decollo economico dell’Est mai avvenuto.
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Mario Röllig lavorava in un negozio di souvenir. Berlino, estate 1999. Era un giorno normale, il solito via vai di persone alla ricerca di un gadget, di una cartolina. Quella sera però Mario, che all’epoca aveva 31 anni, rientrò a casa sconvolto. S’imbottì di farmaci. Voleva farla finita. Lo salvò il provvidenziale arrivo di un amico. In quella giornata che doveva essere come tutte le altre nella Berlino del post-Muro, Röllig aveva incontrato l’inferno. Il suo inferno aveva un volto, un nome, una divisa. Nel negozio di Kadewe era sbucata una sagoma, il suo carceriere. E per Mario era stato come precipitare di nuovo nell’orrore. Rivivere quei tre mesi alla Hohenschönhausen, la famigerata prigione della Stasi, i servizi segreti della Ddr. Non era nemmeno disegnata sulla mappa cittadina quella struttura spettrale. Macchia bianca sulla cartina, nera come il terrore invece per le migliaia di persone che vi erano state recluse nei 40 anni di esistenza: presunti traditori, spie, gente che non voleva collaborare con il regime comunista, semplici cittadini ignari e innocenti. Almeno 250mila tedeschi dell’Est (gli Ossis) sono finiti nelle 103 celle e hanno tremato nelle 230 stanze degli interrogatori dello Hohenschönhausen oggi un museo che ricorda le vittime della Stasi. È fra i più visitati di Berlino, gli ex prigionieri fanno le guide. Anche i carcerieri ci tornano. Qualcuno solo per capire, altri per riassaporare quella «Ostalgie», nostalgia dell’Est, che oggi, vent’anni dopo la caduta del «Mauer», resta lo scoglio più ripido da aggirare. Dice ad Avvenire Jochen Staadt, storico all’Università di Berlino: «La riunificazione è lungi dall’essere finita, ci sono troppe disparità fra Est e Ovest sotto il profilo economico ma anche culturale». La nostalgia per la Ddr è forte. Nelle vecchie generazioni e non solo. E le ferite aperte dal crollo del «Mauer» lunghe da sanare. Anche perché gli ex aguzzini, i funzionari della Sed – il Partito socialista unitario – i dirigenti della Stasi oggi sembrano delle star. Scrivono libri, tengono conferenze, hanno avviato cause contro i giornali che hanno fatto pubblicamente nomi e cognomi dei «torturatori» degli anni del regime. Migliaia di carcerieri vivono indisturbati nelle casette ordinate con il terrazzo e il giardino nella zona nordest di Berlino. Dove sta anche Röllig. Un giorno uno di questi gli si scagliò contro urlando: «Sarà ancora il tuo turno, ti chiuderemo lì dentro». Il tracciato del Muro esiste solo sulle mappe del 1989. Ne restano in piedi poche centinaia di metri, altre sono state ricostruite per far spazio più che alla storia e al ricordo, alla cultura. Oggi il chilometro di blocchi di barriera lungo Mühlenstrasse è diventato la East Side Gallery, ci sono 106 murales colorati da artisti locali e non solo. Attrazione per i turisti. Qualcuno vorrebbe fosse un luogo della memoria anche per i giovani berlinesi che invece sembra che quel passato non solo non lo ricordino, ma non lo vogliano nemmeno rivangare. «È comprensibile – dice Staadt – ma anche pericoloso, ovvio però che i racconti e quanto si apprende a scuola non potranno mai essere paragonati con l’esperienza diretta». A Berlino Est c’è stato molte volte Jim McAdams, professore di storia tedesca alla Notre Dame University dell’Indiana (Stati Uniti). «Il più grande cruccio dei giovani di allora era quello di non poter viaggiare. Non sognavano Cuba o un viaggio esotico, sognavano solo di poter decidere da soli dove andare» ricorda ad Avvenire. Oggi decidono da soli, e si accontentano di qualche nozione del passato. Il 9 novembre del 1989 ha dato ai giovani dell’Est l’opportunità di avvicinarsi al sogno della libertà. Eppure dopo i primi anni di sensazione di onnipotenza il sogno si è affievolito. È diventato più concreto, ma i mezzi per conseguirlo si sono rarefatti. Meno soldi, crisi occupazionale. Nonostante i milioni di marchi che l’Ovest ha riversato nelle tasche dei fratelli «poveri» dell’Est, malgrado i sussidi pubblici. Oggi la distanza fra Ovest ed Est la misura il successo nelle urne della Linke, il partito di sinistra ormai presente in quasi tutti i Land della Germania, ovunque in quelli orientali. Dodici per cento alle elezioni del 27 settembre. Vi sono sindacalisti, dissidenti della Spd e soprattutto ex funzionari dalla Sed, il partito unico della Ddr. Teoricamente un bacino immenso visto che alla Sed gli iscritti erano 2,3 milioni. Per opportunità ma anche per convinzione. «E molti di loro – ricorda Staadt – oggi sono convinti che con la fine della Ddr abbiano perso molto». La chiamano appunto Ostalgie, nostalgia per l’Est, per il vecchio sistema.Cadde in modo repentino il Muro. Helmut Kohl era in visita ufficiale in Polonia. Il capo dei servizi segreti di Bonn Hans-Georg Wieck a Washington. Apprese dalla tv che i berlinesi, dell’Est e dell’Ovest, festeggiavano tutti insieme per le strade il crollo del Muro. Certo da oltre un mese in quel lontano 1989 i dimostranti a Lipsia chiedevano libertà, tenevano sit-in in una chiesa ogni lunedì e chiedevano aperture sociali. Ma Berlino era Berlino, contraddizione e fulcro dello scontro Urss-Usa. Tutto più inquadrato, sotto controllo. Il regime che da poco aveva «licenziato» Honecker e portato alla guida il più moderato ma oscuro Egon Krenz, era convinto che sarebbe sopravvissuto. Pochi mesi prima si parlava di un Muro che sarebbe stato al suo posto «ancora per 50 anni». Quando Gorbaciov varò la perestrojka e revocò la dottrina Breznev, i gerarchi della Ddr risposero laconici per bocca di Kurt Hager: «Se il tuo vicino restaura il suo appartamento, non è detto che debba tappezzare la tua stanza». L’intelligence dell’Ovest vedeva crepe, ma non sapeva nulla di quanto succedeva nel Politburo. La cronaca di quella sera parla di una conferenza stampa, un comunicato letto da un incredulo Günter Schabowski in cui si diceva che non servivano più permessi speciali per superare i il confine lungo il Muro. Poi il tam tam, la gente che spingeva ai posti di frontiera e le guardie che aprono i cancelli. «Se spariamo ci impiccano al pennone», disse uno dei capi. Nessuno sparò. Alle 0.02 secondo i rapporti della polizia dell’Est tutti i passaggi di frontiera erano aperti. Il Muro era caduto 28 anni dopo la posa del primo blocco, il 15 agosto del 1961.Le celebrazioni. Michail Gorbaciov, George Bush senior ed Helmut Kohl, i tre leader politici, che vissero in prima persona la fine dell’era dei due blocchi, ieri si sono incontrati a Berlino per partecipare ad una tavola rotonda in occasione del ventennale della caduta del Muro. Il convegno, dal titolo «Caduta del muro e riunificazione. La vittoria della libertà», si è svolto alla fondazione Konrad Adenauer. Seduti nella grande sala c’erano altri leader di allora, come l’ex primo ministro polacco, Tadeusz Mazowiecki, e l’ex primo ministro ungherese, Miklos Nemeth. Era presente anche Angela Merkel, nata e cresciuta nella Ddr. Il presidente della Repubblica tedesco, Horst Köhler, rivolgendosi a Bush, Gorbaciov e Kohl ha detto: «Questi tre uomini sono grandi uomini. Le nazioni hanno bisogno di patrioti che hanno rispetto per le altre nazioni». Hanno colpito i presenti anche le parole dell’ex presidente dell’Urss: «Anche l’America ha bisogno di una sua perestrojka e di vivere un cambiamento», ha sottolineato Gorbaciov, aggiungendo che «è stato giusto assegnare il Nobel per la Pace al presidente Usa, Barack Obama».
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