Utagawa Kuniyoshi, “Il fantasma mostruoso del palazzo di Soma” (1845-1846), particolare
Il Giappone è un mondo lontano ma che conosciamo assai meglio di quanto immaginiamo. Abbiamo dimestichezza con le sue strutture sociali, dalla scuola ai templi ai negozi, con le periferie cittadine, i mezzi di trasporto, la vita casalinga, il linguaggio del corpo, il suo passato e l’universo fantastico. Abbiamo un’ottima scuola: quella dei cartoni animati, soprattutto quelli ormai “storici”, gran parte dei quali sono ambientati con precisione nel contesto locale, tanto contemporaneo quanto antico. Per questo una visita alla mostra a Milano dedicata alle xilografie di Utagawa Kuniyoshi (Palazzo della Permanente, fino al 28 gennaio) ha qualcosa di familiare nonostante le distanze che ci separano dal Giappone feudale.
È la prima volta che in Italia viene dedicata una mostra a questo maestro dell’ukiyoe, le immagini del “mondo fluttuante” (ossia la realtà, che nella visione buddhista è destinata a svanire). Le opere arrivano tutte dalla collezione privata Masao Takashima e sono di qualità eccellente. L’iniziativa segue quella dedicata lo scorso anno agli interpreti più celebri, Hokusai, Hiroshige e Utamaro, e ha la stessa curatrice, Rossella Menegazzo (così come il ricco catalogo Skira mantiene la stessa linea editoriale).
Rispetto alla triade “classica”, Kuniyoshi (1797-1861) si distingue per la personalità incline al visionario. Ha frequentato tutti i generi – testimoniati in mostra – compreso il paesaggio e le “beltà femminili”, ma non sono questi i suoi ambiti di elezione: gli mancano il senso del luogo e lo slancio lirico di Hokusai e Hiroshige, come la delicatezza e la grazia delle geishe di Utamaro. Kuniyoshi ama lo spettacolo – e non solo per i ritratti di attori di teatro kabuki. Cerca sempre soluzioni strabilianti, anche dove il soggetto è apparentemente piano. Si possono confrontare ad esempio le immagini femminili di Utamaro con quelle di Kuniyoshi. Il primo sceglie kimono semplici, risolti in linee fluide, il secondo si esalta nel virtuosismo di piani spezzati che devono garantire la perfetta coerenza visiva di abiti elaboratissimi. Vale anche per gli uomini, tanto per i kimono, come quelli bellissimi indossati dallo stesso Kuniyoshi e dai suoi allievi nel “ritratto collettivo” durante la festa di Sanno, tanto per gli elaborati tatuaggi che ricoprono il corpo dei suoi eroi.
La grandezza di Kuniyoshi sta nelle scene di battaglia e in quelle dove protagonisti sono spiriti e fantasmi. È un maestro dell’epica. Se fosse un regista cinematografico, sarebbe un gigante dei film di azione. La fama gli arrivò negli anni Trenta dell’Ottocento grazie alle xilografie che illustrano i 108 eroi del romanzo di origine cinese Suikoden (“I briganti”), una specie di collettivo di Robin Hood. Questi guerrieri sono ritratti mentre lottano corpo a corpo con animali giganteschi: rospi, carpe, pipistrelli, serpenti, mostri marini. Le stampe di Kuniyoshi sono un turbinare di masse, di figure, di atmosfere, di raggi luminosi che rim- balzando all’impazzata tracciano le coordinate di una spazialità complessa. Tutto sempre abilmente orchestrato, sia quando la scena è di massa, sia quando si tratti di un duello, magari in primissimo piano.
Non si contano le immagini memorabili, come Miyamoto Musahi uccide una balena gigante, l’enorme carpa rossa che guizza sotto i flutti tenebrosi, il mostro marino dai riflessi argentei che compare all’improvviso tra i marosi o la Battaglia di Shiji Nawate, dove cinque guerrieri si oppongono a una tempesta di frecce. O ancora i fogli in cui gli eroi si trovano alle prese con esseri ultraterreni: i fantasmi che emergono dai gorghi e assaltano un’imbarcazione, o la modernità incredibile dei Fantasmi dell’esercito dei Taira, ombre immani e terrificanti che appaiono all’orizzonte per assaltare un nave.
Gli spettri e gli spiriti sono congeniali a Kuniyoshi. Come un maestro dell’horror, fa cadere il velo che separa un mondo dall’altro. Nei ritratti di attori di kabuki sagome enormi e inquietanti di animali lampeggiano in trasparenza sullo sfondo. A volte il velo cade letteralmente, come nel caso dei demoni bizzarri e mostruosi che irrompono nella casa di Minamoto da un mondo di tenebre. O soprattutto nell’invenzione strepitosa dello scheletro gigante (e anatomicamente perfetto, a ricordarci che tra gli artisti dell’ukiyoe Kuniyoshi è stato tra i più attenti all’arte occidentale) che abbatte la parete nel Fantasma mostruoso del palazzo di Soma, la sua opera più celebre.
Se ci sfuggono i rimandi letterari e leggendari come le allusioni dei giochi linguistici tra testo e immagine, possiamo gustare appieno la verve narrativa. La individuiamo anche nel gusto ironico e grottesco, come i volti di anziani e di donne composti da figure umane, al punto che Kuniyoshi è detto l’Arcimboldo giapponese (e non si esclude che abbia visto incisioni delle opere del lombardo), oppure nelle immagini con protagonisti animali antropomorfi, come rane, uccelli e gli amatissimi gatti, in cui Kuniyoshi rivela formidabili doti di psicologo.
Una poetica che forse ancora più dell’aurea perfezione della “triade” ha suscitato nel tempo interesse ed eredi. Vi riconosciamo una delle fonti da cui avrebbe attinto la cultura figurativa popolare e insieme sofisticata dei manga moderni e poi degli anime. Non solo tra gli amanti dell’azione. Proprio questo senso magico della realtà e il gusto nel creare figure bizzarre – mostri popolani e talvolta teneramente ironici – costituiscono uno dei principali riferimenti culturali, visivi e talvolta strettamente iconografici di un maestro contemporaneo come Hayao Miyazaki.