sabato 17 settembre 2011
Emiliano Mondonico ha lasciato la panchina dei bergamaschi ma ora è quasi pronto a tornare. Il calcio, la vita, la paura, la sofferenza e la musica: dopo mesi di silenzio si racconta a cuore aperto.
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«Quando ero in ospedale, una sera ho visto in tv il concerto di Paul McCartney sulla Piazza Rossa di Mosca. Vedere tutta quella gente che cantava: “Back in the U.S. / Back in the U.S. / Back in the U.S.S.R.”, mi ha commosso. Ho pensato a tutte le guerre folli che si sono combattute in nome dell’ideologia dei potenti, mentre al popolo basta una canzone per sentirsi unito e per abbattere ogni forma di barriera ideologica...». Ci accoglie così, Emiliano Mondonico, marcato a uomo da una muta di volpini, sul ciglio del torrente che attraversa “La Brusada”. Il suo rifugio, la cascina secolare appena fuori il paese natale di Rivolta d’Adda. È qui che il “Mondo” a 64 anni sta recuperando, «tra un po’ di raccolta al frutteto - dice - e qualche rincorsa alle galline nell’aia», dai due brutti infortuni. Due interventi chirurgici per estirpare masse tumorali che l’hanno costretto a dire arrivederci alla panchina.Allora Mondo, a che punto siamo?«So che mi hanno aperto tutta la parte destra. Ho tanti di quei punti qua - mostra il costato - che potrei vincere i prossimi dieci campionati… Sono tornato a 67 chili, il peso di quando mi sono sposato. L’ho fatto per mia moglie Carla: sa, stiamo insieme da 38 anni...».Nei giorni più brutti, vissuti in questi mesi, qual è stato il pensiero ricorrente che le ha dato la forza di reagire? «Il calcio, come sempre, è stato un grande compagno di viaggio. Mi ha fatto un assist anche nel momento più duro. A giugno il fatto di dover andare agli spareggi-salvezza con l’AlbinoLeffe mi ha permesso di far slittare di due settimane la data dell’intervento… Una consolazione magra, ma in quel momento mi sono aggrappato ancora una volta al calcio, ai suoi ritmi e alle sue stagioni».È l’immagine di chi si è sentito braccato. Qual è stato il sentimento ricorrente quando ha scoperto la malattia?«All’inizio il senso di impotenza di chi è costretto a scegliere in tempi rapidi la squadra giusta per vincere la sfida al tumore, per di più entrando in un campo che non conosce. Poi quando a Milano mi sono affidato allo Istituto tumori e al dottor Alessandro Gronchi, che ringrazio, quella sensazione è svanita in fretta».La paura di non farcela l’ha mai sfiorata?«In vita mia, prima di questa esperienza non avevo mai pensato all’idea della morte, ma in una situazione del genere sei costretto a metterla in conto. L’unico pensiero che mi rendeva molto triste era il non aver la possibilità di vedere crescere il mio nipotino Lorenzo».Dall’Alto ha chiesto un assist, ha pregato?«Quando mi sono convinto che la partita era aperta e dovevo assolutamente farcela con l’aiuto dei medici, ho pensato di non scomodare nessuno Lassù…».L’immagine più dura di quei giorni di "lotta" contro il male?«Camminare per la corsia dell’ospedale e rendersi conto che la vita è fatta anche di tanto dolore. E poi tutte quelle mamme che sono ancora lì e che assistono i loro bambini malati di tumore, è un’immagine che non si cancella».Proviamo a voltare pagina e a trovare delle immagini belle, come l’affetto dimostratole dai tifosi.«Con mia figlia Clara abbiamo contato e letto migliaia di messaggi da parte di tifosi di tutte le squadre che ho allenato. Quel “non mollare Mondo” è stato un abbraccio caldo, quotidiano, anche da gente sconosciuta che mi ha trasmesso un immenso conforto».Il messaggio più inatteso?«La telefonata di un un ex "nemico" juventino - sorride -, Antonio Conte. Il suo affetto e la sua vicinanza costante mi ha fatto riflettere sul fatto che a volte senza conoscere bene una persona ci facciamo un’idea sbagliata. Ora che l’ho conosciuto so che Conte è una gran bella persona, sensibilissima, e con la Juve diventerà un grande allenatore. Ha cominciato bene, gli auguro solo il meglio».Ma non è che il Mondo adesso si metterà a tifare Juve?«Beh non scherziamo, state sempre parlando con l’ultimo tecnico del Toro che ha avuto l’onore di allenare la squadra granata sul campo del Filadelfia. A proposito, lo Juventus Stadium è nato, il Filadelfia quando lo ricostruiranno?».Difficile rispondere, ci dica invece lei: con la nostalgia da panchina come è messo?«Ero anche tornato ad allenare una settimana dopo l’intervento. Poi il presidente della Lega Pro, Macalli, mi ha chiamato chiedendomi se mi andava di guidare la Nazionale di C alle Universiadi. L’ho ringraziato, ma non era ancora tempo di rimettersi in gioco. Però dalla fine di settembre, a detta anche dei medici, dovrei aver recuperato al 100% e allora se qualche club vorrà chiamarmi, io sul piatto ci metto le mie 1.100 panchine da professionista».Intanto il suo AlbinoLeffe vola, sotto la guida del suo ex secondo Daniele Fortunato.«Non sa quanto questo mi renda felice. Daniele per me è un figlioccio. L’estate scorsa, come sempre stavamo al mare insieme ed era sconsolato, non lavorava da due anni e voleva mollare per dedicarsi alle pasticcerie di famiglia a Vicenza. Un’ora dopo, mentre eravamo a pranzo con le nostre famiglie, mi chiamano dall’AlbinoLeffe e mi dicono che tutto il mio staff se ne era andato al Piacenza. Torno a tavola, lo fisso negli occhi e gli dico: Daniele, ma te la sentiresti di fare il mio vice? È cominciata così...».L’altro suo "figlioccio" è il ct azzurro Cesare Prandelli.«Cesare è Cesare. Quando al presidente Bortolotti dissi di prenderlo per allenare le giovanili dell’Atalanta, non mi ero sbagliato sul suo conto. Sta riportando la Nazionale alle sue radici. Gli altri parlano di "modello Barcellona", ma lui sta vincendo all’italiana. Ranocchia migliore in campo contro la Slovenia è un segnale di speranza. Se torna a rifiorire la grande scuola italica dei difensori, allora il nostro calcio avrà un futuro».Il presente intanto dice che c’è carenza di talenti.«E’ da un pezzo che è così. Il Mondiale del 2006 è stata la vittoria dei "gregari": Gattuso, Materazzi, Grosso. Adesso dobbiamo accettare il fatto che i campioni non ci sono e quelli che potenzialmente possono diventarlo devono capire che nel calcio d’oggi per essere dei grandi calciatori prima devi essere un grande uomo».Ex campioni si sono macchiati con l’ultimo scandalo del Calcioscommesse, cominciato proprio nella "sua" Cremona. Cosa ha pensato?«Che ha riguardato prima di tutto gente del calcio con la dipendenza dal gioco d’azzardo. Io da anni qui al campetto dell’oratorio di Sant’Alberto, porto avanti un programma di recupero dalle dipendenze. Ne abbiamo salvati tantissimi dall’alcol e dalla droga, ma dalla dipendenza dal gioco quasi nessuno. Dal vizio del gioco non si guarisce mai... A quei ragazzi ripeto sempre: è una vita che vinco tutte le settimane al Superenalotto, perché non c’ho mai giocato».Abbiamo iniziato parlando di Paul McCartney, ma il "Mondo" non era quel ragazzo che abbandonava il ritiro per un concerto dei Rolling Stones?«La musica dei Rolling Stones l’ascoltavo per caricarmi in macchina o farmi montare la grinta in campo, quella dei Beatles nei momenti di riflessione o quando avevo biosgno di una dose di romanticismo. Ma la colonna sonora della mia vita sono le canzoni dei Nomadi. Il titolo più importante l’ho appena conquistato grazie a loro».Sarebbe a dire?«Beppe Carletti mi ha nominato “Nomade del 2011”. Spesso ripenso a quando con Augusto Daolio facemmo la visita militare dei “tre giorni” a Piacenza. Lui, “capellone” che sbagliava apposta tutti i test per farsi riformare... La sua voce e la musica dei Nomadi mi emoziona sempre e non mi ha mai lasciato solo un giorno. Ma in ospedale ho ascoltato tanto una canzone non loro, e mi veniva lo stesso la pelle d’oca…».Quale canzone "Mondo"?«Quella di Vasco Rossi, che dice: “Eh già… Sembrava la fine del mondo, ma sono ancora qua...”. Mi ha fatto piangere, ma poi anche stare meglio. Vorrei che Vasco lo sapesse».
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