Come nel calcio dei Paperoni, è stato il Brasile a staccare tutti, a raggiungere per primo le tre coppe del mondo. Ma, a differenza della Rimet – che, al di là delle peripezie del manufatto originale, è stata definitivamente assegnata alla federazione brasiliana – il prossimo anno la coppa tornerà in gioco. E, con essa, torneranno in ballo anche i progetti sociali che il Mondiale si porta appresso: si tratta infatti della Homeless World Cup, il torneo riservato alle persone che vivono in condizioni di disagio abitativo, che martedì sera ha visto chiudersi nella Rådhusplassen di Oslo, la piazza del municipio della capitale norvegese, la sua quindicesima edizione.
Calcio di strada, giocato 4 contro 4 in un’arena in erba sintetica, 48 le nazioni rappresentate nel torneo maschile/misto, 16 in quello femminile: sono state oltre cinquecento le donne e gli uomini che vi hanno preso parte. Persone che si sono trovate ad essere senzatetto nel corso dell’ultimo anno, richiedenti asilo con esito ancora pendente, individui che, in riabilitazione da alcolismo o tossicodipendenza, negli ultimi due anni abbiano vissuto senza una dimora per qualche tempo: storie di sofferenza e umanità, di riscatto, alla ricerca di una serenità momentanea che può passare anche attraverso un torneo sportivo sui generis i cui effetti benefici non si concludono nella settimana dell’evento, ma perdurano attraverso i diversi programmi dei partner nazionali, ovvero 74 organizzazioni no profit, fra cui l’italiana Dogma onlus.
C’era anche l’Italia, con la Nazionale Solidale che ha preso parte a tutte le edizioni della manifestazione, che ha debuttato in Scozia nel 2003, vincendone due. Questa volta Carlos, Pajazit, Andrea, Elia, Kekeli, Kevin e Paolo, il capitano, non sono riusciti ad accedere alla giornata delle finali, ma hanno comunque vissuto una settimana da ricordare. Hanno vinto, si diceva, il Brasile nel torneo maschile/misto, battendo in finale il Messico per 4-3, mentre tra le donne hanno trionfato proprie le messicane, che hanno superato il Cile. Quinto titolo per loro, gioia comunque per tutti perché, nonostante le classifiche servano a dare un senso al gioco, l’esperienza e la filosofia della Homeless World Cup vanno oltre la contesa sul piccolo campo verde.
Nella definizione delle Nazioni Unite, i senzatetto sono coloro che vivono in strada senza poter contare su rifugi né abitazioni (primary homelessness) e che sono costretti a spostarsi di frequente in rifugi di transizione, le persone insomma senza fissa dimora (secondary homelessness). L’ultimo rapporto globale sul fenomeno, effettuata dell’Alto commissariato per i diritti umani risale al 2005 e stima in 100 milioni di persone il numero di coloro che non avevano un tetto, mentre ben 1,6 miliardi sono gli individui che non possono contare su un alloggio adeguato, secondo l’indagine realizzata nel 2015 da Habitat, il programma dell’Onu per gli insediamenti umani. E la crisi, in Europa, non ha fatto che peggiorare i dati.
Si è concluso in Norvegia l'Homeless World Cup, il torneo di calcio di strada riservato alle persone che vivono in condizioni di disagio abitativo
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