Gentile da Fabriano, "Adorazione dei Magi", particolare - WikiMedia
Maria Giuseppina Muzzarelli sarà tra i protagonisti della XXIV edizione "Antico/Presente. Festival del Mondo Antico", la rassegna culturale promossa dal Comune di Rimini, da domani al 31 luglio, dedicata quest'anno a "Consenso | Con-Senso".
Con il termine “consenso” si indica tanto un concetto come una situazione reale caratterizzata da concordia, approvazione, dichiarata o meno, di un certo stato delle cose. La conseguenza è, o dovrebbe essere, la mancata tensione e, in definitiva, la pace. Uno status dunque ideale, o quasi, in ogni contesto e in ogni tempo. Ovviamente le situazioni di fatto sono molto più complesse e sfumate delle definizioni. Qualche considerazione a partire dagli ultimi secoli del Medioevo per cogliere situazioni e interpretazioni utili a capire il funzionamento di quella società.
Il campo da indagare è quello del disciplinamento del lusso, uno scopo perseguito con determinazione, almeno apparente, dal XIII secolo al XVIII secolo. Le città comunali stabilirono di regolamentare il lusso per legge ritenendo il mancato governo delle apparenze, vale a dire delle esibizioni soprattutto di vesti e gioielli, un comportamento in grado di compromettere l’equilibrata vita cittadina e capace quindi di far saltare gli assetti politici faticosamente raggiunti di volta in volta.
Va detto che i governanti delle città degli ultimi secoli del Medioevo attribuivano grande importanza ai segni esteriori e alla comunicazione. Come controllare gli uni e l’altra? All'interno degli Statuti cittadini sono state regolarmente previste norme che stabilivano limiti alle spese in questo ambito proibendo o limitando fortemente oro o argento dorato, perle o pietre preziose. Spesso le normative erano dettagliate e indicavano la quantità di materiale prezioso utilizzabile in frange, ricami o bottoni ma regolamentavano anche la larghezza delle vesti o delle maniche nonché il ricorso alle diverse tipologie di tessuti o pellicce assegnando a ogni categoria di oggetti ben precisi in quantità definite.
Il progetto dei governanti non è stato sempre lo stesso nel corso dei secoli ma appare nel tempo analoga l’intenzione di valersi anche delle apparenze e delle concessioni o restrizioni in fatto di consumi per mantenere l’assetto politico vigente. Alcune proibizioni erano generalizzate, altre invece modulate sulle singole condizioni fino al punto di prevedere strascichi di diversa lunghezza a seconda della posizione sociale.
Interventi del genere sono stati previsti in tutti i corpi statutari praticamente di tutte le città grandi o piccole d’Italia e non solo d’Italia. Evidentemente si riteneva che il settore fosse strategico per preservare equilibri e mantenere il consenso.
Il tema del consenso si affaccia dunque a proposito della opportunità di dichiarare e sottolineare l’appartenenza a un’area del privilegio tramite vesti ed ornamenti. Il sistema consentiva contestualmente di mettere in luce l’appartenenza ad altre ed inferiori condizioni sempre utilizzando il linguaggio delle vesti. Chi si collocava ai vertici dell’assetto sociale godeva di specifici privilegi anche in questo campo.
Come reagiva chi deteneva ricchezza sufficiente a esibire frange d’oro e pellicce proibite ma non occupava uno status che glielo consentisse? Il problema era quello del rendere accettabile l’ordinamento a tutti o quasi, allargando al massimo il consenso e controllando il dissenso. I sistemi per governare il dissenso erano più d’uno, ma soprattutto era centrale la capacità di consentire agli appartenenti a ogni condizione sociale di partecipare, anche se in forme limitate, al gioco delle apparenze.
Allora come ora le persone, quelle che lo potevano fare s’intende, volevano rendersi visibili, esibire ricchezza e gusto. Le donne in particolare fungevano da vetrina d’esposizione della condizione famigliare. Il consenso era dunque facilitato dalla partecipazione allargata a questo gioco ma anche dalla ragionevole concessione di vie di fuga a chi era resisteva alle regole. Ecco profilarsi il sistema delle multe o quello della "bollatura", vale a dire della concessione, sub condicione, a continuare a usare vesti già possedute al momento dell’emanazione di una legge che le proibiva. Ciò a patto che si denunciasse, bollandolo, il capo “fuori legge” e che si pagasse una cifra per la concessione.
Le multe erano un modo per sottolineare divieti e limitazioni con vantaggio per la città che trasformava in entrate il mancato rispetto della norma. Erano una sorta di tassa sul lusso utile a ridistribuire parte della ricchezza di pochi a vantaggio della collettività e in definitiva un modo per mantenere il consenso e controllare il dissenso.
Ciò comportava la necessità di un sistema di controllo. Servivano funzionari che si appostassero nelle vicinanze delle chiese, luogo per antonomasia di esibizione di splendide da parure da parte delle donne. Serviva anche l’apporto più generale dei cittadini tramite la denuncia prevista e remunerata.
Si tratta di un elemento che fatichiamo a valutare positivamente giacché è prevalsa nel tempo l’attribuzione di un carattere negativo alla denuncia fatta dal singolo del mancato rispetto di una norma da parte di un altro singolo. È un tema importante e delicato che ha una parte di rilievo nel discorso relativo al consenso. Attualmente nel mondo anglosassone i whistleblowers, spifferatori, sono ritenuti utili segnalatori di illeciti e negli Stati Uniti si destina al denunciante fino al 30% della somma recuperata dall’Erario con la segnalazione. È una pratica con più ombre che luci ed è comportamento collegato al tema del consenso: ciò fin dal Medioevo che appare anche a questo riguardo epoca matriciale di molti nostri modi di funzionare e di pensare al di là di una vulgata riduttiva da superare definitivamente.