Dalle nuove tecnologie mediatiche nascono nuove relazioni tra persone, ma anche nuove possibilità di esclusione. Di questo parla Benedetto XVI nel suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, in calendario domani. E di questo si occupa professionalmente Nicholas Negroponte, che tra i profeti dei nuovi media gode di un riconosciuto primato d’onore. Nel 1995, da direttore del MediaLab al Mit di Boston, con il suo best seller mondiale Essere digitali preconizzò un gran numero di innovazioni nelle tecnologie e nel loro uso quotidiano che poi ci si sono materializzate sotto gli occhi e tra le mani. Oggi si impegna per evitare che quanto è divenuto realtà si perverta in strumento di alienazione e in un invalicabile muro tra chi dispone dei media digitali e chi ne è privo. Per questo Negroponte leggendo il messaggio del Papa si sente a casa sua.
Professore, cosa la colpisce di più delle parole di Benedetto XVI? «Mi trovo in profonda sintonia con l’affermazione del Papa secondo la quale le tecnologie della comunicazione vanno rese accessibili anche a 'coloro che sono già economicamente e socialmente emarginati'. I nuovi mezzi di comunicazione sono la via d’uscita dalla povertà visto che sono anche i nuovi strumenti di apprendimento. In tutto il mondo vediamo figli che insegnano ai loro genitori come 'leggere e scrivere' sui media digitali. In questo nuovo mondo sono i bambini che si fanno protagonisti del cambiamento, cessando di essere semplicemente destinatari dell’insegnamento».
Il Papa parla di «nuove relazioni» come effetto delle «nuove tecnologie». A suo giudizio, che tipo di relazioni umane instaura Internet sempre più strumento di socialità e condivisione, il cosiddetto 'Web 2.0'? «Sebbene possa cambiare per ciascuno di noi, la qualità dei rapporti dipende dal 'respiro' e dalla ricerca di amicizie non più limitate dallo spazio e dal tempo. È ciò che qualcuno ha definito la 'morte della distanza'. Nelle nostre conoscenze così come nelle amicizie noi negoziamo sempre l’ampiezza e la profondità. Il loro equilibrio oggi dipende dal giudizio di ciascuno, non più da vincoli di carattere fisico. Il Web 2.0 crea un’opportunità di essere più globali, vedere e ascoltare più punti di vista, dare più voce alle singole persone».
I canali attraverso i quali si sviluppa il Web 2.0 aprono però un problema di privacy, incoraggiando a condividere esperienze e pensieri in una piazza virtualmente planetaria. Cosa ne pensa? «La privacy è come la salute: non le si presta grande attenzione finché non la si perde... Tuttavia anche chi si mostra più disposto a mettersi in piazza non intende certo trasmettere tutti i dettagli su se stesso. È quando ciò che si dice 'in privato' arriva su Twitter (uno dei più popolari network sociali, ndr) che ci troviamo costretti a ripensare quel che diciamo e facciamo».
In che modo i nuovi media possono influenzare i rapporti tra la 'generazione digitale' – come la definisce il Papa – e la realtà? «Il maggiore influsso dei nuovi media è nel costruire un’immaginazione collettiva che altrimenti potrebbe finire limitata dai prodotti dei monopolisti, dagli Stati o da talune autorità. Basta dare un’occhiata a Wikipedia (la grande enciclopedia online redatta, aggiornata e corretta dagli stessi utenti, ndr): le nuove idee nascono da nuove voci a da differenti punti di vista».
Quali possibilità e quali incognite apre la diffusione così rapida delle tecnologie digitali?«Il cambiamento più positivo mi pare l’inclusione mentre, specularmente, la novità più negativa riguarda l’esclusione. Se questa sia la conseguenza del divario generazionale o economico fa poca differenza: in entrambi i casi si tratta di una frattura. E il messaggio del Papa è un passo importante per prenderne coscienza».
Benedetto XVI definisce le tecnologie della comunicazione «un dono per l’umanità». Lei è molto impegnato a trasformare questa consapevolezza in realtà per il maggior numero di persone, specialmente nei Paesi più poveri. Ci può spiegare il senso e la portata di questo sforzo? «Il mio obiettivo è di combattere la povertà connettendo ogni bambino con un piccolo computer che costi poco, consumi poco e sia molto resistente, un laptop di proprietà da usare sempre, e non solo a scuola. A oggi, abbiamo siglato accordi per 2 milioni di questi computer, un milione dei quali è già nelle mani di bambini in 31 Paesi di 19 lingue, dall’Afghanistan alla Cambogia, dal Ruanda all’Etiopia, ad Haiti. Le difficoltà insorgono quando questo nostro sforzo incrocia interessi commerciali per i quali i bambini non sono una missione ma un mercato. In ogni caso, il progetto 'Un computer per ogni bambino' ( One Laptop per Child) ha fatto nascere il mercato dei cosiddetti 'Netbook' (i piccoli computer che servono essenzialmente per connettersi al Web, ndr), che quest’anno potrebbe raggiungere il 30% della produzione mondiale di computer».
«Rispetto, dialogo, amicizia»: quali sono le condizioni perché questi tre princìpi, che il Papa sviluppa nel suo messaggio per la Giornata mondiale, diventino lo 'stile' del Web 2.0? «Gutenberg non scrisse libri. Come la stampa, anche i nuovi media verranno usati per il bene ma anche per il male. Ciò che cambia, tuttavia, è la capacità di auto-correggersi. Cito come esempio ancora Wikipedia, perché è l’ambiente online nel quale le persone di buona volontà si correggono per rendere lo strumento sempre migliore. I tentativi di intrusioni abusive vengono rapidamente neutralizzati. E il bene prevale».
Il Papa invita i giovani cattolici a guardare i media 'sociali' come a un luogo di testimonianza cristiana. Cosa ne pensa un 'tecnico' come lei? «Confesso che non è il mio terreno, ma posso dire che credo molto nei computer come strumenti di umanizzazione. E questo vale per tutti i credenti».
«Essere digitali» (Being digital) la rese celebre in tutto il mondo. Oggi come intitolerebbe un nuovo libro di "profezie tecnologiche"? «Being bionic ('Essere bionici'). Il futuro è certamente all’intersezione tra il mondo digitale e quello biologico. Essere digitali non fu una vera profezia ma un dossier su quel che stavamo realizzando al Media Lab del Mit, e solo in parte fu una estrapolazione di quei lavori. Da tre anni sono in aspettativa dal Mit e non conosco bene le loro ricerche più recenti, ma quello che posso dire è che i bambini di tutto il mondo, persino nelle zone più povere e remote, verranno connessi più rapidamente di quel che pensiamo, per effetto di una 'missione' o del mercato. Per questo motivo, la Rete diventerà sempre più giovane e sempre più interculturale. Sono sicuro: ne beneficeremo tutti».