martedì 7 febbraio 2017
Al museo romano 26 artisti e 50 opere raccontano il carcere come metafora del mondo contemporaneo e il mondo contemporaneo come metafora di un carcere, tecnologico e iperconnesso
Chen Chien-Jen, "People Pushing", 2007-2008 (Courtesy Chen Chien-Jen Studio)

Chen Chien-Jen, "People Pushing", 2007-2008 (Courtesy Chen Chien-Jen Studio)

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In un momento in cui la comunicazione globale vuol dire anche controllo globale, mentre “guerra al terrore” e social network smantellano la nostra privacy, la parola prigione assume significati decisamente nuovi: con la mostra "Please come back. Il mondo come prigione?" a cura di Hou Hanru e Luigia Lonardelli al Maxxi a Roma dal 9 febbraio al 21 maggio, 26 artisti attraverso 50 opere mettono in luce le problematiche relative al controllo tipiche della società contemporanea.

"Lo sviluppo esponenziale delle tecnologie digitali, l’avvento dei social network - spiega in una nota il Museo delle arti del XXI secolo - l’utilizzo dei Big Data, hanno progressivamente e inesorabilmente cambiato la nostra società che assiste al crollo delle filosofie di condivisione sociale e urbana e all’instaurarsi di un nuovo regime che, in nome della sicurezza, ci spoglia, con il nostro consenso, di ogni spazio intimo e personale. "Please come back" parte da queste considerazioni, e cerca una risposta alla domanda: che cosa vogliamo torni indietro nelle nostre vite dal paradiso perduto dell’età moderna?"


L’esposizione prende il titolo dall’opera omonima del collettivo Claire Fontaine, nata da una riflessione degli autori sulla società come spazio di reclusione e il modo inquietante in cui ne facciamo parte. Partendo da queste considerazioni la mostra assume come centro d’indagine la società contemporanea sotto il controllo di un sistema di potere.

La mostra si compone di tre sezioni: Dietro le mura, Fuori dalle mura e Oltre i muri.

Della prima sezione sono protagonisti artisti che hanno fatto una esperienza diretta della prigione, sia perché sono stati reclusi, sia perché ne hanno fatto il soggetto del proprio lavoro, sia perché sono cresciuti in ambienti caratterizzati da questa presenza ingombrante. Tra questi Berna Reale con un video che racconta la luce della torcia olimpica all’interno delle carceri brasiliane, Harun Farocki che utilizza i filmati delle videocamere di sorveglianza del carcere di massima sicurezza di Corcoran in California e le interviste di Gianfranco Baruchello ai detenuti delle carceri di Rebibbia e Civitavecchia.

In Fuori dalle mura troviamo le opere di quegli artisti che hanno compiuto una riflessione sulle prigioni che non possiamo vedere, sui regimi di sorveglianza, capaci di trasformare le città contemporanee in vere e proprie “prigioni a cielo aperto”. Mikhael Subotzky presenta materiali video forniti dalla polizia di Johannesburg; Lin Yilin con la sua performance che riproduce una scena di privazione della libertà per testare le reazioni dei cittadini della città cinese di Haikou e di Parigi, o Rä Di Martino che trasforma Bolzano nel fondale di una messa in scena con finti carri armati.

Nella terza sezione - Oltre i muri – protagonista è il tema della sorveglianza come “pratica organizzativa dominante”, fenomeno omnipervasivo nella nostra società dopo l’11 settembre 2001. Ecco allora, tra le opere presenti in questa area, la pratica tutta americana della “guerra al terrore” che diventa protagonista del lavoro di Jenny Holzer, il progetto di Simon Denny che si ispira alle rivelazioni di Snowden, Jananne Al-Ani che riproduce la prospettiva del drone investigando diversi siti in Medio Oriente, mentre Zhang Yue con un lavoro visionario prefigura future guerre o un piano per la distruzione degli Stati Uniti.


La mostra è accompagnata da una serie di incontri, eventi, appuntamenti, che ne approfondiscono i temi. Una rassegna cinematografica, in collaborazione con Fondazione Cinema per Roma, presenta quattro film che raccontano come il controllo sull’uomo si sia fatto nel corso degli anni sempre più stringente a causa della nuova comunicazione globale. Pensato all’interno di un carcere, Il workshop dell’artista Claudia Losi dal titolo "Una volta... all'improvviso" è realizzato in collaborazione con la Casa Circondariale Rebibbia Femminile, Francesca Dainotto e Vic-Volontari in Carcere. Il progetto coinvolge l'immaginario e gli affetti di chi "vive lontano" la propria genitorialità, un gruppo di donne ospitate a Rebibbia femminile. Parole, scrittura, disegno, tessuto: il racconto della maternità vissuta dal carcere prenderà forma e ogni donna creerà il suo gioco-dono per riannodare un legame complesso, come quello con il proprio figlio (febbraio – maggio).

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