Provate a mettervi nella maglia di un portiere che debutta in serie A e alla prima gara al Sant’Elia, in quella porta dove Ricky Albertosi vinse l’unico scudetto del Cagliari (1970), incassa la bellezza di 4 gol dalla Lazio. Toglietevi i guanti e rimetteteli 7 giorni dopo per andare a raccogliere in fondo alla rete altri due gol a Siena. Ritorno al Sant’Elia con la Juve che affonda con Amauri, segue un altro golletto subìto a Bergamo e infine per chiudere in bruttezza la cinquina ma-ledetta, un 2-0 a Lecce. Un portiere “normale” si sarebbe dimesso dall’incarico insieme al suo allenatore. Invece tre giorni dopo (mercoledì 5 ottobre) cominciava il campionato da record del Cagliari del “conte Max” Allegri, ma soprattutto l’ascesa del miglior portiere della serie A, il 26enne (li compie domani) Federico Marchetti. Un n° 1 scuola Torino che dopo 6 stagioni di gavetta (Pro Vercelli, Treviso, Biellese e AlbinoLeffe) alla fine è arrivato, nonostante l’avvio a handicap dei cinque tonfi di fila. «È stato brutto, specie con la Lazio al debutto. Sull’1-0 per noi, senza nemmeno dover sporcare i guanti in mezz’ora ho preso 4 gol. Poi i quattro ko successivi mi hanno fatto capire una volta di più quanto è strano il calcio: il Cagliari giocava bene, si muoveva con le stesse sincronie di adesso, eppure erano sempre degli episodi a condannarci. All’appuntamento con il Milan sia io che il mister Allegri siamo arrivati con la consapevolezza che quella poteva essere la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso... Come consuetudine, dopo l’allenatore a ruota avrebbero fatto fuori il giovane portiere esordiente...». E invece, con Cellino premonitore, proprio contro Kakà comincia la risalita del Cagliari e l’ascesa di Marchetti che non ha mai perso la speranza e come il brasiliano del Milan ha una fede incrollabile che gli si legge perfino sulla pelle. «Ho un tatuaggio in cui con il carattere Avesta ho fatto incidere “Ave Maria”. Non è un vezzo, ma il ringraziamento di un miracolato. Quando ero a Vercelli una sera alla guida della mia auto ho fatto un incidente tremendo. Proprio mentre stava per capitare il peggio ho visto una “luce”... Sono uscito illeso e soprattutto non è accaduto niente ai miei amici. Se gli fosse capitato qualcosa di tragico non me lo sarei perdonato e forse non avrei avuto più la forza per andare avanti». La corsa di uno dei migliori talenti del nostro calcio si sarebbe potuta fermare lì sul ciglio di una strada, tra i rottami di un’auto. Ma gli incidenti di percorso non erano finiti. La crisi e il precariato di cui si parla tanto nell’apocalittico 2009, l’aveva sperimentata 4 anni fa: dopo il fallimento del Toro di Cimminelli si era ritrovato a piedi. «Ero disoccupato e per non restare fermo andai ad allenarmi al Casale. Eppure avevo debuttato in B a 21 anni... Però al Torino prima avevano fatto fuori Sorrentino e dopo il sottoscritto perché “troppo giovane”, salvo poi andare a prendere Berti che aveva 36 anni... In Italia i portieri giovani fanno fatica a lanciarsi per colpa della troppa pressione dei media che gli allenatori avvertono, visto che o non li fanno giocare oppure al primo errore vengono tagliati con l’alibi dell’inesperienza. Ma l’esperienza uno se la fa soltanto se lo mandi in campo. A volte sono proprio le occasioni che scarseggiano. Ho visto tanta gente brava che non ha avuto la chance giusta e che si è persa. Nella Primavera del Toro con me c’erano Quagliarella, Mantovani e Calaiò, ragazzi che ce l’hanno fatta, ma posso assicurare che ce n’erano altrettanti talentuosi che sono finiti in C, ai quali è mancata solo la possibilità di dimostrare il loro valore». Quella possibilità a Marchetti la concesse Sandro Turotti (ora ds della Cremonese) che lo spedì alla Biellese con la promessa che se avesse fatto bene poi l’avrebbe portato all’AlbinoLeffe. E così è stato. «Penso che senza i bocconi amari che ho ingoiato e qualche porta sbattuta in faccia, oggi non avrei la personalità che mi sono costruito in campo e fuori. Sacrificio e senso di responsabilità, uniti al talento e a quel pizzico di fortuna che non guasta mai, alla lunga ti permettono di centrare gli obiettivi». Il prossimo obiettivo è continuare a difendere la porta del Cagliari per portarlo ancora più in alto. «Siamo un gruppo che appena ha smesso di giocare con il freno a mano tirato ha mostrato quella forza che è il risultato di una miscela perfetta di giovani di prospettiva e veterani come Lopez e Conti che sono sempre lì pronti ad incoraggiare e a trascinare la squadra. Non sarà facile fermarci...». L’ascesa dei sardi procederà di pari passo con quella di Marchetti che, parola di Gigi Buffon può diventare il futuro n° 1 azzurro. «Il fatto che l’abbia detto il più grande di tutti mi inorgoglisce. Chi dice che io sia il suo “erede” esagera. Buffon alla mia età era già titolare in A da otto anni e arrivò in Nazionale a 19. Io sono felice di essere ciò che sono, uno che passo dopo passo è riuscito a fare della sua passione un mestiere. È questo che racconto ai ragazzi quando vado nelle scuole: il calcio prima di tutto è un gioco e dobbiamo difendere con l’etica il nostro diritto al divertimento».