Che fine ha fatto il mandolino? Lo si sente spesso invocato come simbolo di un’Italia da cartolina ma inesistente, strapaesana e gaudente, nel peggiore dei casi arruffona. Più difficile ascoltarne il timbro argentino e cantabile che fece innamorare una folla oggi forse inimmaginabile. Il posto migliore dove scoprirlo è alla liuteria Calace, a Napoli. Dove si fanno mandolini dal 1825. Qui è nato il mandolino moderno. E da qui partono strumenti in tutto il mondo. «All’anno arriviamo a produrre 280-300 mandolini – racconta Raffaele Calace, erede della tradizione mandolinistica partenopea – ma all’epoca di mio nonno qui c’erano 42 dipendenti e dalla bottega uscivano tremila mandolini all’anno». Perché il mandolino è uno strumento dal passato glorioso e un presente difficile: «Secondo alcuni – racconta Calace – ai primi del ’900 a Napoli e dintorni c’erano oltre cento liutai. Era uno strumento diffuso in tutte le case e in tutti gli strati della popolazione».Il boom del mandolino accompagna quello della canzone napoletana: «Parte nella seconda metà dell’800 e arriva al suo apice tra le due guerre. Il suo pubblico iniziale era quello aristocratico e dell’alta borghesia. La stessa regina Margherita di Savoia era un’abile mandolinista e aveva un’orchestra di strumenti a plettro. Il successo della canzone napoletana lo fece diventare popolare. Troppo, per il ceto elevato. Che se ne disamorò». La batosta arriva con la Seconda guerra mondiale. «Un declino fortissimo, dovuto all’arrivo delle mode americane. Il mandolino divenne qualcosa da nascondere. Col tempo si è capito che era uno strumento bellissimo ed è iniziata la riscoperta. Ma è più un interesse colto che una cultura diffusa. In Italia nei conservatori ci sono cattedre di mandolino che preparano persone ad alto livello. Gli altri restano spettatori». C’è un ritorno anche nella musica popolare, che però non sembra dettato da una domanda interna: «Sa dove si trova il nucleo mandolinistico più grosso? A Sorrento, perché è zona turistica. E negli alberghi chiedono concerti di mandolino. Qui abbiamo abbandonato la musica nostra».Raffale porta il nome di suo nonno, la figura più importante per la diffusione del mandolino nel mondo. Raffaele Calace senior era detto il “Paganini del mandolino”. Musicista oltre che liutaio, portò lo strumento fino in Giappone, dove nel 1924 si esibì davanti all’imperatore. A Hirohito piacque a tal punto che gli conferì la commenda del Sacro tesoro giapponese. E nel Sol Levante scoppiò la mandolinomania. Mai tramontata: «Oggi invio in Giappone due terzi della produzione. Senza l’esportazione non potrei sopravvivere. Laggiù il mandolino ha trovato terreno fertile perché era uno strumento moderno adatto alla loro musica tradizionale. Oggi i college giapponesi hanno un’orchestra sinfonica e una mandolinistica. In Italia invece il mandolino è escluso dall’insegnamento nelle medie a indirizzo musicale. È una follia: per lui hanno scritto Vivaldi, Beethoven, Mozart, Paganini. Ed è un’offesa per la cultura musicale italiana». Il mandolino, insomma, non abita più qui: «Due anni fa è stato è fatto il festival del mandolino napoletano. Ma non a Napoli, a Seul. In Corea l’interesse è esploso dieci anni fa. Ci sono classi di mandolino numerosissime e concerti tutte le settimane».