Il commissario tecnico della nazionale, Roberto Mancini, prima dell'inizio della partita, vinta, con l'Ungheria, che ha qualificato l'Italia tra le quattro finaliste della Nations League - Ansa
Non sappiamo quale peso avrà in Europa la nostra politica “rinnovata”, ma conosciamo invece il valore, prettamente europeo, del calcio azzurro. «Siamo i campioni d’Europa» ha cantato venerdì scorso tutta San Siro all’Italia di Roberto Mancini che con il minimo sforzo ha battuto l’Inghilterra nella sua prima uscita senza la Regina e con l’insediato Carlo III.
Inglesi retrocessi dalla Nations League che invece riconferma la Nazionale tra le quattro che il prossimo giugno in Olanda si giocheranno questo “titolino” che certo non vale un Europeo e tanto meno un Mondiale. A quello, al Mondiale del Qatar 2022, il primo campionato del mondo invernale della storia, «noi non ci saremo».
E il refrain, che rimanda alla canzone dei Nomadi deve essere entrato in testa a Mancini che non aveva ancora elaborato il lutto dell’eliminazione avvenuta per mano, anzi per i piedi, della Macedonia del Nord. Dopo la bella vittoria in terra del dittatoriale Orban, 0-2 all’Unghiera del signor Rossi (con tanto di rigore netto negato ai magiari) – il “ct italiano” ex compagno alla Samp del “Mancio” – il nostro selezionatore ciuffoso ha realizzato che non si può essere felici di questo ingresso alla final four quando invece non saremo tra i partecipanti alla sfida Mondiale.
Il 20 novembre, quando si alzerà il sipario iridato in Qatar, tutta l’Italia sarà ancora costretta, come per Russia 2018, ad assistere dalla tv del salotto di casa. Almeno 60 milioni di ct disoccupati e solidali, ma non troppo, con l’escluso Mancini che, evidentemente, comincia ad avvertire la sindrome dell’assente ingiustificato.
Di buono c’è che nelle ultime due uscite abbiamo scoperto un “Pablito Rossi 3.0”, alias Raspadori, oltre alla riscoperta di una Nazionale grintosa e operaia, incarnata dal figlio dei fruttivendoli di Milano, Di Marco. E poi Mancini pare aver ripreso in mano il bandolo della matassa. È sicuramente un filo sottile di speranza rispetto alla realtà che ci vede fuori dal giro Mondiale, quando tutte le nazionali che vi partecipano hanno fatto una figuraccia alla Nations League.
Le grandi d’Europa, a cominciare dai campioni del mondo in carica della Francia, in questa competizione discutibile quanto si vuole hanno fatto più o meno la stessa figura degli azzurri con i macedoni.
Ma il Mondiale, anche quello da “tackle nel deserto” e con le panchine che diventano delle oasi negli stadi degli sceicchi, è sempre un’altra cosa. Possiamo stigmatizzare quanto vogliamo, peraltro senza essere ascoltati, che si giocheranno in quel Qatar che conosce bene il valore di una Ferrari ma non ha alcun rispetto per le vite umane: l’emirato chiude gli occhi sulle oltre 4mila morti bianche dei cantieri degli impianti per i Mondiali e non ha ancora chiara la Carta dei diritti dell’uomo.
Però sarebbe stato bello esserci e magari incidere in campo e fuori con messaggi forti e umanitari, come è nelle corde dei gemelli azzurri Mancini & Vialli. All’Europeo la nostra Nazionale era diventata anche un modello etico comportamentale. La squadra degli “Oratoriani”, calciatori nati e cresciuti, a cominciare dal ct, all’ombra del campanile degli oratori sparsi per il Paese reale.
Il 20 novembre al calcio d’inizio di Qatar-Ecuador, la prima del Mondiale, l’Italia sarà a Vienna per una tristissima amichevole contro l’Austria. La diretta, pur di trasmettere la Nazionale su Rai 1 è stata spostata dal sabato alla domenica, anche perché la Rete ammiraglia il sabato sera preferisce non toccare la sacralità dello show di Milly Carlucci.
Insomma, fa bene Mancini ad essere un po’ amareggiato, alla fine basta “Ballando con le stelle” per battere un’Italia che balla da sola, a casa, senza Mondiali.