L'allenatore della Lazio dello scudetto del 1974, l'ex partigiano Tommaso Maestrelli (1922-1976)
C’è una storia romana, ma anche pugliese, con origine toscana, di “Calcio e Resistenza” che non è mai emersa in tutta la sua grande purezza, perché oscurata dalla longa mano del fascismo. È la storia del partigiano “Tommy”, al secolo scorso, Tommaso Maestrelli, il grande mister e condottiero a della Lazio dello scudetto del 1974. Il 12 maggio di cinquant’anni fa, per la prima volta i bianconcelesti conquistavano il loro primo tricolore e il 25 aprile il partigiano Tommy, classe 1922, ricordava i trent’anni dall’inizio della sua missione militare in forza alle Brigate Garibaldi. Ma prima bisogna fare un passo indietro. La storia di Maestrelli, piccolo eroe esemplare del pallone italico, comincia a Pisa, la città dove nacque in una famiglia in cui il papà ferroviere, stile Pietro Germi, era dichiaratamente antifascista e per questo segnalato nel Casellario Politico Centrale. I Maestrelli cambiano stazione e si trasferiscono a Bari dove Tommaso comincia a giocare da centrocampista nelle fila dei Galletti biancorossi con cui debutta in Serie A, ancor prima del baby fenomeno Cassano, a 16 anni 4 mesi e 19 giorni. Un’ascesa rapida interrotta dalla guerra quando deve rispondere alla chiamata alle armi : reclutato nella Divisione Ferrara di stanza in Montenegro, operativa tra Cettigne e Pogdorica. « All’incirca nelle stesse terre in cui operò e morì Armando Frigo scrive Andrea Mazzoni nel suo fondamentale e documentatissimo saggio Armando Frigo, il tenente viola e altri che dettero un alcio al nazifascismo (Pentalinea). «Per un po’ babbo fece perdere le tracce, era già fidanzato con nostra madre, Lina, ma lei ci raccontò che per un anno non ricevette più sue lettere dal fronte…Era fortemente preoccupata per le sorti del suo amato Tommaso caduto in una sorta di limbo», racconta Massimo, uno dei quattro figli di casa Maestrelli: gli altri, morti precocemente, erano Patrizia Maria, Tiziana e Maurizio, suo fratello gemello. «Io e Maurizio eravamo la mascotte della Lazio dello scudetto del ‘74», ricorda Massimo, l’ultimo testimone di questa storia d’amore per il calcio e in primis per il proprio Paese, per il quale suo padre mise fortemente a rischio la propria vita. Dopo l’8 settembre del ‘43 l’artigliere Maestrelli venne fatto prigioniero e internato in un campo vicino a Belgrado. Ma i polmoni dell’uomo di mediana erano forti e la corsa poderosa gli permise di fuggire per aggregarsi alla Brigata Garibaldi, formatasi in terra slava, che affiancava i partigiani di Tito nell’assedio alla capitale serba. « È tutto documentato, babbo iniziò da sottotenente della Brigata Garibaldi il 22 novembre del 1944 al comando di 60 uomini e chiuse la sua missione in da comandante di 360 partigiani, il 23 aprile del 1945». Massimo mostra fiero i certificati originali e la Croce al merito di Guerra tributatagli dal nostro Governo e anche da quello della Federazione della Jugoslavia per aver partecipato alla liberazione di Belgrado. Tornato a casa, a Bari, il suo impegno da antifascista proseguì sia su un campo di pallone (con i biancorossi ha giocato dal 1938 al ’48 e poi gli ultimi quattro anni di carriera dal 1953 al ’57) che su quello politico, venendo eletto consigliere comunale come candidato della Lista Garibaldi. Il primo trasferimento a Roma avvien e n e l ’4 8 (a n n o i n c u i ve nne convocato in Nazionale dal tenente degli Alpini Vittorio Pozzo) ma non alla Lazio, bensì finì sulla sponda giallorossa. «Babbo è stato capitano della Roma e la cosa che fa male è l’ignoranza emersa anche in questi giorni in occasione dell’ultimo derby con quello striscione esposto dai romanisti: “Vai in giro a fa’ il saluto romano ma hai intitolato la Curva a un partigiano”». Il riferimento è alla Curva Sud che quando gioca la Lazio è la “Curva Tommaso Maestrelli”, pertanto con quel drappo vergognoso la frangia estrema del tifo romanista ha rivendicato il suo fascismo di gran lunga superiore a quello degli ultrà laziali, ai quali hanno rimarcato ancora con un altro striscione: “Da Bitetti a Maestrelli… fino a no alla fusione sei antifascista per tradizione”. Di sicuro Maestrelli rimase antifascista fino alla fine che arrivò appena due anni dopo quello storico scudetto conquistato con i suoi ragazzi terribili. «Nessuno di loro era fascista. Il più vicino al suo modo di pensare era sicuramente Mario Frustalupi. Mario era uno che approfondiva, che andava alla radice delle questioni e ascoltava tanto le parole di papà. Chinaglia pure, ma era un po’ affascinato dalla destra, così come Wilson (entrambi ora riposano nella tomba di famiglia dei Maestrelli al cimitero di Prima Porta). Martini ha fatto il suo percorso venendo eletto deputato con Alleanza Nazionale, ma si confrontava sempre con mio padre e sempre nel massimo rispetto delle loro idee e dei reciproci ruoli. Gli altri? Pensavano a giocare e a vincere». Ma su quella vittoria dello scudetto del ‘74 ha sempre giocato sporco una certa demagogia che voleva fosse il trionfo storico di una squadra di destra appoggiata da una tifoseria fascista. «Erano anni terribili, di piombo e mio padre non poteva certo esporsi apertamente su certi temi, perché si era in pieno clima terroristico. Abbiamo scoperto poi che i servizi segreti chiamavano il presidente della Lazio Umberto Lenzini per avvertirlo: “Guardate che le Brigate Rosse vi hanno preso di mira, fate attenzione”. Papà di certe cose ne aveva parlato anche con Pier Paolo Pasolini, il quale non sopportava Chinaglia perché per lui incarnava quella virilità cameratistica che era quanto di più distante dal suo modo di vedere anche il calcio, di cui era praticante e tifoso, del Bologna». Pasolini aveva perso suo fratello, il Guido caduto nell’eccidio di Porzus: una dei 17 vittime delle Brigate Osoppo, trucidati da un gruppo di partigiani comunisti appartenenti alle Brigate Garibaldi. «A volte babbo a me e Maurizio ci parlava di quegli anni da partigiano, ma stava attento a non toccare certi aspetti sensibili e dopo un po’ si interrompeva guardandoci con tenerezza per vedere se avevamo capito... Ricordo che una volta ingenuamente gli chiedemmo a bruciapelo: ma tu hai mai sparato e ucciso un nemico quando eri in guerra? Babbo abbassò la testa e non rispose. Mentre un’altra volta confessò con la tristezza negli occhi: “A me la guerra mi ha fatto perdere tanti amici”…».