Garofalo, “Noli me tangere”, 1520-1525 circa - Forlì, Musei di San Domenico
Maddalena penitente di Antonio Canova, Maddalena nella grottadi Joseph Jules Lefebvre, Cristo appare a Maria Maddalena di Pietro da Cortona, Maria Maddalena assunta in cielo del Domenichino. Sono opere che sarebbero dovute arrivare dall’Ermitage per essere esposte in questa mostra se non fosse intervenuto il blocco dei prestiti di opere d’arte alle nazioni “ostili”, quale è considerata oggi l’Italia, da parte della Russia di Putin. Sono quattro capolavori che, da soli, sarebbero ampiamente sufficienti per sostenere una mostra di tutto rispetto. Dunque sono defezioni importanti (in ogni caso l’opera di Canova è stata sostituita dall’originale in gesso proveniente dall’Accademia di Belle Arti di Bologna), tuttavia non tali da compromettere l’esito dell’evento. Ché di capolavori ne conta parecchi la mostra Maddalena. Il mistero e l’immagine, tanto che è facile prevedere che ripeterà il successo di pubblico e i riconoscimenti della critica delle esposizioni precedenti, in particolare di quelle degli ultimi anni dedicate al mito di Ulisse (2020) e a Dante (2021), allestite come questa a Forlì ai Musei San Domenico, promosse dalla locale Fondazione della Cassa dei Risparmi in collaborazione con l’Amministrazione comunale. Provenienti dai più importanti musei del mondo, ma anche molto opportunamente da numerose collezioni private, sono oltre duecento le opere (tra sculture, dipinti, miniature, arazzi, argenti, lavori grafici), suddivise in dodici sezioni tematiche, che vanno a confezionare la mostra (fino al 10 luglio, catalogo Silvana) curata da Cristina Acidini, Paola Refice, Fernando Mazzocca e il contributo di un comitato scientifico presieduto da Antonio Paolucci e la direzione generale di Gianfranco Brunelli. Maria Maddalena, o Maria di Magdala dal nome del villaggio di pescatori suo luogo di nascita sul lago di Tiberiade, è sempre presente in occasione di eventi fondamentali riguardanti la storia di Gesù di Nazareth: la sua morte in croce, la sua sepoltura, la scomparsa del corpo, la sua annunciata resurrezione. Per raccontare la figura misteriosa, controversa, affascinante della santa, la mostra prende le mosse dalle sue prime raffigurazioni risalenti all’epoca classica pre-cristiana, centrate sull’e- stetica del dolore e la teatralità delle emozioni, poi a quelle del Medioevo, del Rinascimento e del Barocco, fino alle rappresentazioni ottocentesche e novecentesche nelle quali la Maddalena diviene emblema delle proteste e dei drammi dell’epoca. Personaggio dalle mille sfaccettature, nel corso dei secoli gli sono stati attribuite innumerevoli identità dal Nuovo Testamento e dagli Apocrifi, da scrittori ecclesiastici e padri della Chiesa, da esegeti antichi e mistici medievali: discepola di Gesù, apostola degli apostoli, ricca credente, peccatrice pentita, prostituta redenta, sposa o compagna del Signore, evangelizzatrice ed eremita in Provenza per trent’anni fino alla fine dei suoi giorni. Tutto questo è frutto di una sovrapposizione da parte di Gregorio Magno che in una omelia del 591 accomuna tre distinti personaggi evangelici, Maria di Magdala, Maria di Betania e l’anonima peccatrice perdonata che lavò i piedi di Gesù con le sue lacrime, asciugandoli con i lunghi capelli per poi cospargerli di un unguento profumato. Nel secolo scorso la Chiesa distingue invece le diverse donne riconoscendo l’errore, una semplificazione che produce tuttavia effetti vitali, tanto che nelle diverse epoche l’arte può prendersi la libertà di interpretare il personaggio di Maria Maddalena in una pluralità di versioni. A queste suggestioni cerca di rispondere la mostra seguendo il filo conduttore cronologico di una narrazione che ha una estensione secolare a partire dal precedente iconografico della Morte di Meleagro, ceramica apula della metà del 300 a.C., che fornisce una testimonianza anticipatrice di deposizioni e compianti delle epoche successive. È in questi contesti che compare per lo più la Maddalena penitente tra XIII e XV secolo e se con Giotto prevale il sentimento di devozione francescana alla santa, considerata un modello di pentimento e di misticismo, con la Crocifissione del 1426 di Masaccio (immagine guida della mostra) la vediamo ai piedi della croce, inginocchiata di spalle, quasi completamente avvolta in un manto rosso che lascia intravedere solo la testa dai fluenti capelli biondi e le mani protese verso la croce, siamo di fronte a una delle immagini più forti e drammatiche di tutta la storia dell’arte. Una umanizzazione della santa e del suo dolore troverà ampia eco nel Rinascimento tra Giovanni Bellini, Botticelli, Filippino Lippi e quel «potente plastificatore» che fu Guido Mazzoni, che nelle loro sacre rappresentazioni la interpretano – precisa Mazzocca – «come una donna disperata, fermandone i tratti fisiognomici e la gestualità in una sorta di dolore universale». Quindi è la volta dell’incrocio delle tensioni formali della lettura manierista del ’500 con quella della sensuale spiritualità del secolo successivo e allora ecco l’infilata di primi della classe, da Tiziano a Correggio, da Tintoretto a Guercino, da Reni a Barocci, Cagnacci, Perugino che incarnano nella figura della Maddalena l’incontro tra corpo e spirito. Un incontro che sarà al centro, insieme a una sempre più accentuata umanità, dell’immagine della Maddalena tra neoclassicismo e romanticismo con Batoni e Mengs, Canova e Hayez preannunciando i capitoli della lettura novecentesca del personaggio. È una lettura che traduce gli elementi estetizzanti delle epoche precedenti nel tema della disperazione dell’uomo e della società, facendo della Maddalena una sorta di simbolo di questa condizione grazie alle opere, tra gli altri, di Chagall, Casorati, De Chirico, Guttuso e Bill Viola che con il video Acceptance ci fornisce una coinvolgente riflessione sulla violenza e il dolore di oggi.