Dopo un periodo un po’ confuso, sembra che oggi le grandi linee della nostra storia si stiano definendo e che, tanto per cominciare, le famose rotelle della culla dell’umanità che tanto divertivano l’abate Breuil si siano definitivamente fermate. Africani da milioni di anni, i nostri ascendenti si sarebbero trovati, verso la fine del Miocene, infeudati alla foresta e alla savana boscosa che, dall’Atlantico all’Oceano Indiano, attraversavano l’Africa equatoriale: il cedimento della Rift Valley, accompagnato da movimenti di innalzamento dei bordi, avrebbe diviso in due parti diseguali la popolazione dei nostri antenati; frattura semplicemente tettonica inizialmente, divenuta barriera ecologica in seguito a una diversificazione delle precipitazioni. La nostra storia è allora quella ben nota dell’evoluzione delle popolazioni insulari. Tra la Rift Valley e l’Oceano Atlantico, i cugini dell’Ovest mantennero o migliorarono l’adattamento all’ambiente arboreo; tra la Rift Valley e l’Oceano Indiano, i cugini dell’Est lottarono per sopravvivere in un ambiente che si stava impoverendo di alberi e che, aprendosi, li scopriva. I primi vengono chiamati Panidi, i secondi Ominidi. Louis Leakey, Camille Arambourg, Mary Leakey, Bill Bishop, Francis Clark Howell, Richard Leakey, Jean Chavaillon, Maurice Taieb, Donald Johanson, Jon Kalb, John Desmond Clark, Timothy White, Hidemi Ishida e io abbiamo raccolto più di 2.000 resti di questi Ominidi, i quali si chiamano, in un primo tempo Australopiteci, e poi Homo habilis. Assunsero innanzitutto una posizione eretta, per poi dotarsi di un cervello sempre più grande e sempre meglio vascolarizzato. A partire da 3 milioni di anni fa, accanto a loro comparvero i primi oggetti tagliati al mondo, che rivelano l’idea di una riflessione, di un apprendimento, di una complicazione della società e di uno sviluppo della comunicazione tra i suoi membri. Nel momento in cui, nella stessa regione che si dissecca, il cavallo correva più veloce e l’elefante mangiava cibo più coriaceo, come dimostrano le zampe dell’uno e i denti dell’altro, l’ominide acquisisce una posizione eretta, riflette, produce e si organizza per difendersi meglio. Quando ci si proietta di colpo nelle grandi società contemporanee e se ne misura la complessità delle strutture, la densità delle comunicazioni, l’importanza dell’apprendimento, il livello della riflessione, si rimane meravigliati e sbalorditi. Che strana storia la nostra, nata forse, in un clima in cambiamento, dall’obbligo di cambiare con esso per sopravvivere! È stata in ogni caso questa grande avventura paleoantropologica a rivela- re in vent’anni come la nostra origine fosse unica, africana, tropicale e molto antica, e che l’evoluzione dell’ambiente naturale aveva influenzato in modo considerevole e indubbiamente decisivo la nostra evoluzione. Forse perché cacciatore, Homo habilis divenne più mobile dei suoi predecessori; forse a causa dell’aumento della popolazione, dovette perlustrare nuovi territori e presto stabilirvisi. Lo si incontra allora, a poco a poco, in tutta l’Africa, ma anche in una vasta porzione dell’Eurasia; l’Antico Mondo si riempì come un vaso. Quest’uomo, il cui corpo cresceva di pari passo con la testa, scoprì la simmetria, diversificò la propria attrezzatura, organizzò l’habitat e rendeva al cranio dei propri morti un omaggio che oggi si definirebbe barbaro. Mentre finiva di conquistare il mondo, si avviò così morfologicamente verso di noi, culturalmente verso società sempre più complesse, utensili sempre più efficaci, riti di inumazione che abbiamo la sensazione di comprendere meglio e un’espressione estetica che ci confonde. Laddove la sua raccolta era fruttuosa, si stabilì in modo più duraturo e iniziò a poco a poco a seminare per raccogliere di più; furono problemi di contabilità che lo portarono a rappresentare le quantità attraverso gettoni, e poi imprimendone le forme nell’argilla fresca, a ridurre a due dimensioni ciò che ne aveva tre; la scrittura affonda così le proprie radici in un passato di più di 12.000 anni. La trasformazione dei metalli, la lavorazione del rame tra i 6.000 e i 7.000 anni fa, seguita da quella dello stagno e del ferro 3.000 anni fa, fecero compiere all’economia e alla demografia un nuovo balzo; probabilmente c’erano allora sulla terra poco meno di 100 milioni di esseri umani. Oggi siamo 5 miliardi, le nostre comunicazioni sono istantanee e la nostra società sarà presto mondiale.