domenica 6 dicembre 2009
COMMENTA E CONDIVIDI
In un’epoca come il Novecento, dove gli scontri interreligiosi non sono mancati, testimoni come André Chouraqui ( 1917­2007), ebreo francese nato in Alge­ria, emigrato a Gerusalemme, ca­pace di compenetrare magistral­mente le tre religioni abramitiche ( tradusse e commentò i tre Libri Sacri, Bibbia ebraica, Vangelo cri­stiano e Corano islamico) sono da riscoprire e leggere con profitto. Anche per i temi che sa affrontare insieme ai grandi nomi della cul­tura novecentesca che si incontra­no ne Il destino di Israele (in uscita per le Edizioni Paoline, pp. 248, eu­ro 14). Cristianesimo e Shoah, Chiesa e Israele, il rapporto tra An­tico e Nuovo Te­stamento: sono i temi che si in­trecciano negli scambi, episto­lari e de visu, qui raccolti tra Chouraqui e al­cuni intellettua­li suoi amici. A­manti del vero sapere, gli interlo­cutori dell’erudito ebreo ( Jules I­saac, Jacques Ellul, Jacques Mari­tain e Paul Claudel) vanno spesso controcorrente rispetto alla vulga­ta comune, incuneandosi con ori­ginalità di giudizio tra le dicerie del tempo. Tra Chouraqui e Maritain il nodo è papa Pacelli e la Shoah: il primo – siamo nel 1969 – denuncia all’ami­co cattolico «il silenzio di papa Pio XII nell’ora della persecuzione hi­tleriana ». Maritain, in risposta, ri­vela all’amico che tale « silenzio » non fu indifferenza di Pacelli, ma prudenza, per di più su suggeri­mento dagli ebrei di Germania: «Quanto a Pio XII, sarebbe grave­mente ingiusto attribuire a indiffe­renza il suo silenzio nell’ora della persecuzione hitleriana: a Roma mi sono informato in alto loco sulle ragioni di questo silenzio, e so che è stato dovuto solo alla paura di au­mentare gravemente la persecu­zione, se avesse alzato la voce». An­zi, l’autore di Umanesimo integra­le fornisce una notizia davvero si­gnificativa: «Il papa aveva consul­tato alcune comunità ebraiche te­desche, ed è proprio questo che es­se avevano risposto. […] Il suo mo­tivo è stato quello che ha ritenuto un obbligo di coscienza, ed era un motivo profondamente umano». Chouraqui poi si distanzia da ogni sterile polemica ebraica anti- cri­stiana post-bellica: «Non è lamen­tandosi né mostrandosi sistemati­camente aggressivi che si potrà rimpiazzare la conoscenza lucida dell’eredità di Israele». Ancora: egli si pronuncia in difesa dei sacerdo­ti cattolici accusati di aver costret­to al battesimo i ragazzi ebrei loro affidati per sottrarli ai rastrella­menti nazisti: «L’ostilità sistemati­ca contro qualche Ordine o rag­gruppamento di uomini rinnega la vocazione profonda di Israele che rimarrà sempre quella dell’unità d’amore riassunta dall’ordine del­lo Shemah». Il riferimento è all’af­faire- Finaly, due ragazzi ebrei na­scosti in Francia e Spagna da isti­tuzioni cattoliche, battezzati nel ’48 e nel ’53 mandati da un giudice in Israele. Jacques Ellul aveva difeso pubblicamente sulla rivista Terre retrouvée padre Démman, accusa­to dal rabbino Wladimir Rabi­nowitch in merito al caso- Finaly. Ebbene, Charouqui, in una missi­va del ’53, plaude all’apologia del sacerdote fatta dal pensatore pro­testante. Vi è poi, lungo il volume, la con­vinzione dei vari interlocutori sul fatto che la furia hitleriana contro gli ebrei abbia avuto anche un per­vicace elemento anticristiano. Nel settembre del ’45 Chouraqui scri­ve così a Jules Isaac, iniziatore del­l’Amicizia ebraico-cristiana: «An­che Israele rimane un mistero, co­me una 'smorfia di croce'. Hitler costituisce una tappa della nostra storia per il semplice fatto, forse, che si è messo anche contro la Chiesa. Noi abbiamo sofferto con dei cristiani, e talvolta dei cristiani hanno sofferto al posto di ebrei. E l’ora di un ravvicinamento ebrai­co- cristiano, di una riunione, non sarebbe suonata con quella dei no­stri milioni di martiri comuni?». Pu­re nel dialogo tra Chouraqui e Paul Claudel emerge la convinzione di quest’ultimo che l’ora terribile del­l’Olocausto abbia accomunati tut­ti i figli di Abramo: «Quello che vi è di notevole e di inaudito è che, per la prima volta forse, ebrei e cristia­ni sono stati mescolati in un sacri­ficio comune e hanno sparso il san­gue insieme per lottare contro una stessa barbarie idolatra». Di qui l’i­dea del poeta transalpino di chie­dere al Papa, tramite Maritain, al­lora ambasciatore di Parigi in Vati­cano, di istituire «una cerimonia di espiazione per rispondere all’orro­re dei crimini commessi in Europa contro gli ebrei». Che la Shoah ab­bia accomunato ancora di più cri­stiani ed ebrei in un destino co­mune lo attesta anche Ellul quan­do annota a Chouraqui (1967): «La mia fedeltà di cristiano verso il po­polo eletto è legata alla mia fede in Gesù Cristo». Tra grandi, poi, per di più se di di­verse confessioni religiose – Ellul e Maritain erano due cristiani con­vertiti, uno protestante e l’altro cat­tolico; Chouraqui un ebreo forte­mente sostenitore della causa sio­nista – il dialogo si affronta par­tendo dalle proprie convinzioni e non cedendo ad un 'concordiamo' di bassa lega. Lo ribadisce Maritain nel ’66: «Quanto sono felice che […] in Israele non si sia scioccati dalla prospettiva cristiana sotto cui si sviluppa tutta la mia meditazione! A mio avviso è una condizione del vero dialogo, ma non tutti la sen­tono in questo modo, con l’ecu­menismo un po’ molle che regna ai nostri giorni in numerosi spiri­ti » . E tra Chouraqui ed Ellul non mancarono divergenze sull’islam: quest’ultimo (nel 1987) asserisce: «Credo sia un’illusione pensare che ci sia fraternità tra le 'tre religioni monoteiste'. No! Allah non ha nul­la in comune con JHWH, il Corano non ha nulla in comune con la Bib­bia ». Chouraqui concede all’ami­co solo una ragione «occasionale»: « L’islam, la sua condizione mi sembra sia lontana dal Corano quanto l’ebraismo e il cristianesi­mo possono esserlo dai grandi i­deali biblici». A sinistra, André Chouraqui. Sopra, donne e bambini ebrei ospitati da Pio XII negli appartamenti papali a Castel Gandolfo. A destra, Jacques Maritain.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: