mercoledì 22 aprile 2009
I laboratori scientifici progettano una umanità senza differenze sessuali e priva di emozioni. Se questo è il futuro che ci aspetta, anche la questione della libertà e la ricerca della verità e del senso della vita sono messe a dura prova.
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Non c’è dubbio che oggi ci tro­viamo di fronte a un muta­mento radicale del funzio­namento mentale e della configura­zione lessicale del mondo, che ri­chiederebbe un approccio comple­tamente nuovo alla strategia d’ana­lisi della realtà e dei modi dell’ap­prendimento. Non riesco a parlare con un giovane immerso nella logi­ca dell’istantaneità sui temi della tra­dizione storica, della lettura per suc­cessione di eventi. C’è uno scarto lin­guistico che rischia la rottura della comunicazione fra generazioni. In realtà noi non parliamo coi nostri fi­gli perché essi vivono in un altro u­niverso linguistico, perché la società si è disintegrata sotto l’azione dei mutamenti epocali che vengono rap­presentati come globalizzazione e pensiero unico, ma che ancora non sono compresi in una adeguata rap­presentazione del mondo. L’uomo ha dimenticato di essere un granello infinitesimale rispetto al­l’immensità sconosciuta dell’uni­verso e si è arrogato il potere di crea­re la vita senza la vita. Certo, i frutti del sapere razionale sono enormi e le tecnologie consentono prestazioni prima inimmaginabili. Il progresso scientifico è stato il traguardo di sfor­zi inauditi e in esso sono state ripo­ste le speranze di un mondo miglio­re. Il prezzo pagato per questo vero e proprio delirio di onnipotenza è, però, che la razionalità si è trasfor­mata in una macchina costruita se­condo principi logico- matematici che consentono di calcolare funzio­ni e prestazioni producendo conti­nuamente strutture idonee a opera­re secondo impulsi codificati in ap­positi programmi operazionali. Il mondo è sistema e gli uomini sono inclusi nella logica sistemica: mac­chine per sopravvivere senza vivere. La ragione ha disintegrato l’uomo e ne ha fatto oggetto di studio. La psi­cologia, l’economia, la politica e via via il cuore, il fegato, i polmoni, il pancreas, gli occhi, sono diventati oggetto di sapere, guidati dall’unico metodo scientifico che si conosce: il riconoscimento della stessa comu­nità degli scienziati. Umberto Veronesi, sul «Corriere del­la Sera» di qualche mese fa, ha scrit­to che nel giro di qualche generazio­ne la differenza sessuale fra uomini e donne perderà ogni significato, che l’umanità si riprodurrà senza biso­gno dell’accoppiamento di un uomo e di una donna, ma attraverso l’inse­minazione artificiale e la clonazione, che l’evoluzione naturale della so­cietà ci porta oltre i confini dei tradi­zionali comportamenti sessuali e ci destina a nuove forme di relazioni interpersonali. Così, in una qualsiasi pagina di gior­nale, viene annunciata senza alcun clamore la fine delle leggi che hanno fin qui governato il problema della riproduzione sociale, del ruolo della generazione, della responsabilità verso il futuro. Nel proclama di Ve­ronesi, di una umanità senza diffe­renze, è lo spazio, lo spazio della me­moria e del sogno, che viene negato e distrutto. Nell’universo indifferen­te ciascuno vive per se stesso, per il proprio godimento immediato che è garantito dalle nuove possibilità of­ferte dalla scienza, dalle biotecnolo­gie, dalla chimica, dalla fisica e dalle neuroscienze. Veronesi non annuncia il futuro del­la libertà umana, ma la morte del­l’immagine dell’uomo che è stata fa­ticosamente costruita nella storia dell’Occidente. L’indifferenza ses- suale non è un progetto di umanizzazione della società e della natura, non è un progetto di svi­luppo della consapevolezza del si­gnificato del nostro essere al mon­do, ma la cancellazione di ogni spa­zio mentale, non riducibile a sinapsi e a neuroni, dove possa svilupparsi la domanda umana sul senso della vita, sul valore squisitamente umano del sogno di un futuro diverso, sulle speranze di un avvenire di salvezza dall’ingiustizia e dalla sofferenza. Og­gi la scienza e la filosofia non sop­portano il mondo delle passioni e dei sentimenti (a meno che non si ridu­cano a formule chimiche o a errori lo­gici) perché esso ci porta dentro una dimensione che non riesce a conci­liarsi con la loro pretesa di assoluto e di eternità: la temporalità caduca e divoratrice. Per la scienza come per tutti gli assoluti non esiste il tempo, il tempo della nascita né il tempo del­la morte, il tempo della gioia né il tempo del dolore. Ciò che accade, ac­cade per caso o per necessità. Non è un problema di coscienza, né una questione che riguarda soltanto ogni singolo indivi­duo, ma la stessa doman­da del chi siamo e del perché viviamo. Non si tratta soltanto di rie­vocare le grandi storie che ci hanno appassionato e for­mato: le passioni terribili che hanno scatenato le guerre antiche e moderne, gli amo­ri tragici di Paolo e France­sca, di Tristano e Isotta, di Giulietta e Romeo, ma l’inte­ro clima culturale in cui si è venuto sviluppando nell’Oc­cidente lo spazio specifico dell’essere umano combat­tuto fra le forze primordiali della na­tura, fra la implacabile legge dell’E­ros senza limiti, e il bisogno di un or­dine che sanzioni anche la respon­sabilità verso la progenie chiamata a raccogliere il testimone della vita. Gli dei greci, il Dio del cristianesimo, hanno reso possibile agli uomini i­stituire lo spazio mondano dell’in­terrogazione sulla verità come do­manda sul senso della vita. In questo spazio sono apparse 'figure' che non hanno nulla a che fare col di­vino, né col natura­le: la tenerez­za dei corpi che si stringono, la bel­lezza di un neonato dalla pelle rosa­ta, la coscienza del tramonto del vi­gore giovanile, la nostalgia e la me­moria, il sapere e la speranza, la sof­ferenza e la gioia, l’estasi e il tor­mento. Attraverso di essi l’uomo ha cercato di sfuggire ad ogni statuto di necessità e di assumere sempre più la responsabilità della propria esi­stenza. Tutti sono bravi a descrivere la globalizza­zione, i mer­cati finanziari, il problema delle borse, i nuovi orizzonti intercul­turali, la scoperta delle cause di tutte le malattie, ma nessuno è più capa­ce di parlare a un bambi­no mutilato da una bom­ba americana caduta per caso su un villaggio pa­cifico o ai superstiti di un attentato kamikaze che ha stroncato la vita di giovani in festa in un pic­colo centro israeliano. Perché abbiamo perduto il senso del­la vita, le domande tragiche che na­scono dal dolore senza spiegazioni? Perché abbiamo confuso, forse in­tenzionalmente, la ragione con il pensiero e la conoscenza con la com­prensione. Questa è un’epoca in cui la ragione ha distrutto il pensiero e la cognizione ha soppresso l’intesa af­fettiva.
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