sabato 21 agosto 2021
L'evento di domani è poco frequente ma già gli antichi erano in grado di prevederlo. Gli uomini hanno consegnato il loro sapere ad almanacchi e lunari, che oggi sono diventati app
La Luna piena sul castello di Salgo, Ungheria

La Luna piena sul castello di Salgo, Ungheria - Ansa/Epa/Peter Komka Hungary Out

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Se in una stagione ci sono quattro Lune piene, la terza si dice "blu". E il 22 agosto, domenica, ne vedremo una. Le altre lune piene estive si sono avute il 24 giugno e il 24 luglio. L’aggettivazione "blu" non significa che vedremo il nostro satellite tinteggiato di azzurro. Questo fenomeno può essere determinato da catastrofi, come l’eruzione di un vulcano: le particelle di polvere e ceneri esalate, avendo una grandezza maggiore della frequenza della luce rossa (circa 0,6 micron), ne determinano l’apparente color bluastro. Accadde anche nella famosa catastrofe del vulcano di Krakatoa nel 1883 in Indonesia. Il colore, dunque, non è certamente connesso alla fase di luna piena, né alle fasi in generale, indipendenti dagli eventi del suolo terrestre.

Il calcolo delle fasi lunari è antichissimo e fondamentale per stabilire i calendari. Conoscerlo era importante per calcolare le eclissi solari e lunari, che dipendono dalla reciproca posizione di questi corpi celesti. Sembra che la famosa eclissi di sole del maggio 585 a.C., che la tradizione vuole "predetta" da Talete, fosse stata non una predizione ma una combinazione di valutazioni: poiché le eclissi di sole si verificano solo nel caso di novilunio (perché la luna si frappone tra la terra e il sole, mostrando a noi la parte non illuminata: quando l’inclinazione dei piani orbitali lo consente si può potenzialmente determinare un’eclissi solare) e in un anno ci sono al massimo 13 noviluni, allora le possibili eclissi solari sono in 13 date al massimo.

E Talete fu fortunato, perché in quel 585 questa possibilità si verificò. Quest’anno, sempre a maggio, si è avuta invece una eclissi totale lunare, visibile negli Stati Uniti.

Questo ragionar del cielo è di certo affascinante, ma in passato era ancor più utile e necessario. Gli antichi almanacchi e lunari davano notizie astronomiche e astrologiche per far sì che tutti potessero conoscere gli eventi celesti guardando ai giorni riportati nella successione calendariale. Oggi il termine "almanacco" è comune: la National Geographic ne pubblica uno all’anno destinato ai bambini, per dar conto delle più importanti e belle notizie del mondo naturale. Con i lunari si ha meno confidenza. A meno che non si abbia occasione di sfogliarne uno.

Meravigliosa, ad esempio, l’elegante riproduzione anastatica di L’Ottone indorato. Lunario urbinate 1725 (Arti grafiche della Terre, 2020), curato e introdotto con erudizione da Giorgio Nonni, docente di letteratura italiana all’Università di Urbino. Il manoscritto originale si compone di 26 carte non numerate restaurate nel 1989. Si leggono in queste pagine consigli su come ricorrere alla medicina e alle erbe, tra ragione e superstizione, tra vera astronomia e considerazioni astrologiche. Non è da escludere che fosse letto pubblicamente, nelle Fiaschetterie e nei Circoli ricreativi, perché la carta stampata aveva ormai creato nuove forme di socialità e di cultura.

Anche i contadini così impararono a discettare con gli astronomi, a diffidare degli astrologi, a far uso proprio delle istruzioni ecclesiastiche.

Così impararono a riconoscere le quattro tempora, ovvero i giorni di digiuno a inizio stagione voluti da papa Callisto I e ripresi da Gregorio Magno; il Numero aureo, numero tra 1 e 19 che nei calendari lunisolari associava gli anni con la stessa cadenza delle fasi lunari; le rogazioni, processioni propiziatorie per l’agricoltura, arricchite di liturgie. Non stupisce trovare nel lunario istruzioni per i cacciatori e indovinelli popolari, a testimonianza del fatto che in un oggetto come questo scorreva viva la cultura popolare, senza la quale non vi è piena conoscenza storica del passato e del presente.
Almanacchi e lunari sono classificabili come editoria popolare.

Per questo gli almanacchi Barbanera fanno parte della "memoria del mondo" dal 2015: l’Unesco ha riconosciuto a 356 esemplari originali, conservati in Umbria e datati dal 1762 al 1962, di essere «la collezione più completa del mondo. La sua universalità risiede nel suo essere simbolo di un genere letterario che ha contribuito a creare la cultura di massa e il patrimonio identitario di intere nazioni, fino all’avvento di forme più moderne di comunicazione di massa».

Come dichiarato nella Nomination form, rinvenibile liberamente on line, gli almanacchi furono centrali nella diffusione e costruzione della cultura popolare del diciottesimo secolo, detto per l’appunto "secolo degli almanacchi". Le «forme più idonee di comunicazione di massa» traducono oggi informazioni satellitari con programmi internazionali come l’europeo Copernicus. Europe’s eyes on Earth sulle condizioni dell’atmosfera o il Areonautical meteorology program delle Nazioni unite.

Era il 1945 quando padre Mariangelo da Cerqueto (Perugia) distribuì in 2000 copie l’almanacco Frate indovino, per aiutare a capire come sarebbe cambiato il tempo nell’anno successivo. Così contadini e agricoltori consultavano queste pagine per capire quando e come seminare. Si trattava di indovinare, appunto, basandosi sulle serie temporali disponibili nei conventi, su nozioni astronomiche note, sul comportamento delle macchie solari, sulle fasi della luna e sui legami indimostrati che esse hanno con la terra, con i capelli, con i parti. Padre Mariangelo sapeva sicuramente che la sua attività aveva natali lontani. Poteva forse solo immaginare che oggi lunari e almanacchi sono diventati app che ci annunciano eclissi e lune blu.

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