«Apollo 15 è stata la missione lunare che ha prodotto i maggiori risultati scientifici dell’intero programma. Mi auguro che ben presto l’America, e le altre nazioni, riprendano il percorso dell’esplorazione spaziale e della conquista dei pianeti». Lo ha confermato chi, all’Apollo 15, prese parte come membro dell’equipaggio. Alfred Worden era partito 45 anni fa per una delle missioni lunari più spettacolari e complesse. Ed è stato il primo astronauta (di soli tre) a compiere una “passeggiata spaziale” non in orbita attorno alla Terra, ma su un tragitto interplanetario. Worden, classe 1932 ci ha raccontato la sua esperienza in un evento che si è tenuto di recente all’Hotel Sheraton dell’Aeroporto Malpensa, organizzato da Luigi Pizzimenti, curatore Padiglione Spazio del Museo Volandia, e Dario Kubler, vicepresidente dell’Associazione per la Divulgazione Astronomica e Astronautica.
Colonnello Worden, Apollo 15 è stata una missione diversa rispetto alle precedenti. Perchè?
«Era la prima missione di quelle definite di esplorazione lunare a vasto raggio. Avevamo l’astronave Apollo più pesante di tutte quelle inviate in orbita terrestre prima, e verso la Luna in seguito. Avevamo un carico scientifico notevole, all’interno della piccola stiva ricavata nel modulo di servizio. E poi, nel modulo lunare, portavamo per la prima volta il Lunar Roving Vehicle, la celebre jeep lunare».
Il 26 luglio 1971, giorno del lancio. Ci racconta un aneddoto?
«Mentre salivamo con l’ascensore in cima al razzo Saturno il giorno del lancio, alla rampa, mi colpì vedere degli enormi lastroni di ghiaccio staccarsi dalle pareti del vettore e cascare verso terra. Era l’effetto del combustibile a tamperature molto basse che formò delle spesse stratificazioni di ghiaccio attorno al razzo. Le stesse che poi, nelle immagini, si vedono mentre si distaccano dalle pareti del primo stadio del Saturno nel nostro lancio così come in tutti gli altri».
Come visse quei momenti?
«Il lancio si dimostrò piuttosto docile, non così violento come si potrebbe immaginare. Io controllavo ogni dettaglio del modulo di comando: c’erano 730 interruttori e molti altri comandi. In due minuti e 44 secondi il primo stadio del razzo aveva bruciato circa 3.000 tonnellate di carburante. Dopo tre giorni e mezzo, eccoci all’ingresso in orbita lunare. E quando vidi la Terra così piccola e il traguardo lunare raggiunto, provai subito un grande senso di rispetto nei confronti del Control Center e di tutti coloro che ci avevano permesso di arrivare al traguardo».
Lei non è sbarcato sulla Luna, perchè pilotava l’Apollo. Ma la regione di allunaggio cosa aveva di particolare?
«Gli appennini di Hadley, sono una zona molto suggestiva e particolare. Ritenuta di grande importanza da parte di scienziati e planetologi. Dave e Jim allunarono a 27 gradi nord sull’equatore lunare. E il rischio era anche rappresentato dalle forti influenze del campo gravitazionale lunare, che variava sopra quella regione, quella degli appennini di Hadley, che è è antichissima, formata da impatti di meteoriti di grosse dimensioni che ne hanno formato degli enormi crateri. Ce n’erano alcuni del diametri di 800 metri».
E poi, nel viaggio di ritorno, la sua “passeggiata mozzafiato”
«Si, furono 38 minuti molto emozionanti. Avevamo da poco lasciato l’orbita lunare per rientrare verso la Terra. Meraviglioso. Avevo tante cose da fare, dovevo recuperare rullini fotografici montati all’esterno del modulo di serdopo vizio, e alcuni apparati collocati in una piccola stiva di carico per apparati scientifici. Ci trovavamo a 315 mila chilometri dalla Terra, e correvamo verso di essa a 39.000 chilometri orari. Ero molto preso, ma riuscii a godermi lo spettacolo».
Dopo il rientro sulla Terra, ci racconta di un suo incontro che considera 'speciale'?
«Al rientro girammo il mondo e incontrammo molte personalità: ministri, capi di stato, eccetera. Ma un incontro davvero speciale fu quello con il Papa, che era Paolo VI. Fu anche un colloquio divertente. Quando mi vide, mi disse: 'Io l’ho già vista da qualche parte... Poi, aver parlato un po’ con lui, capii che mi aveva visto in un programma per bambini, molto noto negli Stati Uniti in quel periodo ».
Il Presidente uscente Obama ha detto, di recente, che l’America punta a conquistare Marte con astronauti negli anni 2030. Cosa ne pensa?
«La conquista di Marte rappresenta un altro passo in avanti nella nostra conoscenza ed è un traguardo ancora più lontano. Non è una conquista fine a sé stessa. La mia filosofia è che dobbiamo progredire e puntare sempre a nuovi traguardi, anche nell’esplorazione spaziale. E abbiamo le possibilità per raggiungere quelle capacità, anche se sarà sempre più difficile. Marte è uno dei grandi obiettivi ed è giusto puntare al Pianeta Rosso. E puntare anche oltre. Noi siamo in grado, per il futuro, di risolvere tutte le problematiche dei voli spaziali. Ma siamo ancora una generazione troppo giovane per questo».
E la Luna ? Bisogna ritornarci?
«Sicuramente. In modo ovviamente diverso da come lo abbiamo fatto noi dell’Apollo. Nel frattempo, ci arriveranno tra qualche anno i cinesi. Ne sono convinto».