Il volto di Flora, particolare della "Primavera" di Botticelli - Firenze, Galleria degli Uffizi
«La presenza pervasiva delle icone botticelliane nell’odierno, sterminato universo delle immagini è un fenomeno speciale, degno di attenzione non solo per gli storici dell’arte ma anche per artisti, creativi, pubblicitari, sociologi... Un esempio su tutti l’uso della Venere nascente, che spazia dall’ovvio ambito dei cosmetici a impegnative imprese culturali». Quando Cristina Lucidini scriveva queste righe per il suo Botticelli (Pacini Editore, pagine 272, euro 25,00), monografia pubblicata con il sostegno di Menarini e presentata domenica a Firenze in Palazzo Pucci, non poteva certo prevedere l’exploit sciagurato della Venere influencer. Il problema di quell’idea è che schiaccia l’immagine di Botticelli allo stereotipo dello stereotipo.
Il volume di Cristina Lucidini, assai ricco di illustrazioni, è invece una bella occasione per recuperare e approfondire la complessa stratificazione sia del capolavoro che di tutta l’opera e della figura stessa di Botticelli, non meno enigmatica della sua pittura. La storica dell’arte sceglie la cifra della divulgazione, quasi persino manualistica con la presenza di box che approfondiscono temi specifici. Non rinuncia però a una visione critica precisa e una vena revisionista.
Ad esempio sul neoplatonismo: «Per quanto Botticelli fosse partecipe di questo lavorio intellettuale, e si avvalesse certamente di consigli e indicazioni per le complesse iconografie, si può dubitare che l’unione tra la sua pittura e la filosofia neoplatonica sia stata così assoluta e totale, come si continua ad affermare sulla scorta dei primi grandi studi iconologia e Kulturgeschichte applicati all’arte botticelliana da Aby Warburg, Ernst Gombrich, Erwin Panofsky e altri intellettuali esuli di radice mitteleuropea, colonizzatori della storiografia artistica anglofona del secolo scorso».
In questo senso titola significativamente “Tra Savonarola e i Medici ‘popolano’, un lungo tramonto splendente” il capitolo finale dedicato alla stagione più problematica, certamente “petrosa”, di Botticelli. Lucidini rimette a fuoco la lettura, questa volta vasariana, di una triste vecchiaia, preferendo riconoscere anche nei lavori più tardi il segno di una «tormentata originalità», all’insegna di un «misticismo estremo». Perché Botticelli scopre sulla propria pelle ciò di cui sarebbe stato ben conscio il giovane amico Michelangelo: che la bellezza non salva.