(nel video la sua tesina di diploma di maturità liceale)
«Mi chiamano “dritto per dritto”, nonostante sia praticamente nato su questa carrozzina...». Comincia così l’incontro con Francesco Gallone, 18enne tetraplegico di Milano. Un incontro che definire “speciale”, come alcuni suoi coetanei nella stessa condizione, sa dì retorica melassa, ma alla fine della lettura di questa chiacchierata amichevole, ognuno cerchi l’aggettivo più consono. Interno di famiglia Gallone, in via Moscova, presenti: la “pasionaria” nonna Emilia, papà Riccardo e mamma Anna, i due fratelli Federico 19 anni e Mariapaola 15. Unico assente, giustificato, nonno Franco «che è un personaggio da conoscere assolutamente», dice ghignando di gusto Francesco che è un personaggio a sua volta e soprattutto uno sportivo. «Faccio wheelchair hockey, sport bellissimo e a anche l’unico che può praticare un tetraplegico».
Il wheelchair hockey è una disciplina nata negli anni ’70 nel nord Europa per coinvolgere ragazzi con disabilità motoria durante le ore scolastiche di educazione fisica e che l’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare ha introdotto nel nostro Paese all’inizio degli anni ’90. «Stiamo lottando perchè diventi disciplina paralimpica , ma per questo serve ancora un continente che si uniformi alle stesse regole che si usano in Europa e in Australia. Infatti, nel Nord-America, e in particolare negli Stati Uniti, giocano in maniera differente da noi; ad esempio la palla si può alzare di oltre i 20 centimetri e la porta è quindi più alta. Per il resto è quasi tutto uguale», spiega Francesco che esprime tutta la sua personalità dirompente nei quattro tempi da 10 minuti in cui va in campo. E il campo non è proprio sotto casa.
«Ho cercato di avere una palestra più al centro qui a Milano per non essere costretto ad arrivare, per le partite casalinghe di campionato, fino a Bareggio, dopo San Siro, peraltro l’unico comune che ci ha dato la possibilità e per questo gli saremo sempre grati, anche se tutti noi preferiremmo poter giocare con i nostri tifosi vicino». Quel “tutti noi” sta per i ragazzi delle Turtles, la sua compagine, iscritta al campionato di Serie B, che è nata da una costola del Dream Team, formazione nella quale militava fino all’anno scorso. «Abbiamo sfiorato la promozione in A con il Dream Team, ma la finale di ritorno contro i Black Lyons di Verona nonostante all’andata avevamo vinto 6-4, poi l’abbiamo persa a tavolino perchè l’ambulanza - la cui presenza è tassativa da regolamento - è rimasta incastrata per via della partita a San Siro. Tra l’altro giocava pure il Milan...», dice con un pizzico di “astio”, Francesco da sempre è un tifoso sfegatato dell’Inter...«Ma oggi non parliamo di calcio, nè del grande capitano Javier Zanetti - a cui mi ispiro nel mio scendere in campo da dritto per dritto - , ma di questa meravigliosa disciplina che è il wheelchair. La sua bellezza, sta nella capacità di aggregare persone con problematiche diverse e farle sentire davvero parte di una squadra unita fuori e dentro il campo. Nella Turtle il 90% dei componenti sono distrofici, il resto ragazzi con altre malattie o semplicemente persone che vivono nel loro mondo. Il gruppo cambia di continuo, anche perché purtroppo la distrofia muscolare ha strappato per sempre diversi miei compagni». Si fa scuro per un istante il volto di Francesco che però recupera il sorriso appena parla della “mascotte” Farid, un 14enne egiziano. «Farid è convinto che giochiamo nel “palazzetto dei Pokemon” e quando gli diciamo: ricordati che se sei un bomber quindi devi segnare nella porta avversaria, lui ci guarda e con i suoi occhioni dolci chiede: “Perchè?”». Ride di gusto il capitano delle Turtles che assieme ai suoi compagni ha imparato a scherzare anche della propria disabilità: «Ci prendiamo in giro continuamente. Sdrammatizzare, serve tantissimo perchè ci dà la forza per andare avanti. Il vice presidente della Uildm, nonché uno dei portieri della squadra, Marco Rasconi, disabile anche lui che da vent’anni fa questo sport ci ripete continuamente: «Noi siamo fortunati, perchè abbiamo imparato a chiedere aiuto gli uni agli altri, senza sentirci mai in colpa». Il coach, Edoardo Guerra, invece ripete come un mantra, specie agli ultimi arrivati: «In campo non ci sono i vostri genitori che vi preparano la “pappa”, quindi dovete farcela da soli, organizzatevi e battete gli avversari». A volte però per Francesco e gli altri è più facile vincere in campo che superare le difficoltà di un quotidiano in cui spesso manca la garanzia dell’assistenza.
«Io ho la fortuna di una famiglia che si fa in quattro per me e in più c’è Marco Belleri, la “mia spalla destra” che mi segue tanto, ma avrei bisogno di tre ore in più di assistenza a scuola. Con il comune di Milano è una battaglia continua, loro mi dicono sempre “tutto a posto” e invece quel buco nelle ore scolastiche rimane...». Francesco frequenta l’ultimo anno dell’Itsos Albe Steiner, l’Istituto di cinema e comunicazione, e anche a scuola a volte non tutto fila liscia come quando gioca con i Turtle. «Tra i miei coetanei spesso noto poca sensibilità verso noi disabili. Ma dall’anno scorso partecipo ad un gruppo di auto mutuo aiuto “Parole in Cerchio” ideato e promosso dal mio educatore Piergiorgio Critelli assieme agli altri studenti della mia scuola». Con il preside Giacomo Merlo, ora c’è anche in ballo un progetto per l’audio-quotidiano, ovvero la lettura sonora dei giornali. «È uno dei miei due pallini fissi, il giornale letto da voce suadenti per chi non può sfogliarlo come me o non leggerlo proprio come i non vedenti. Sarebbe molto importante se qualche direttore ci credesse... L’altro, è diventare un telecronista di calcio. Ho già debuttato con un paio di provini così per ridere, a Inter Channel affiancando al commento il simpaticissimo Roberto Scarpini e a Sky con Beppe Bergomi: un onore per me, un’interista e campione del mondo». Il grido di battaglia di Josè Mourinho “Sento odore di nemici”, è diventato anche quello di Francesco che al nuovo anno che è appena iniziato ha altre due cose da chiedere: «Qualche posto in più al cinema per i disabili, ci sono solo 4 poltrone per noi e non in tutte le sale. E a San Siro, l’Inter faccia come il Real Madrid al Bernabeu, crei una tribunetta per chi ha la carrozzina, in modo che possa assistere alla partita stando in mezzo al pubblico. Condividere con gli altri, è il primo passo per abbattere ogni tipo di barriera e un po’ alla volta conquistare assieme un pezzetto di felicità».