«Io ti guardo negli occhi e vedo lontano» canta Luciano Ligabue tra i solchi del nuovo album
Mondovisione, sovrapponendo le speranze della maturità ai ricordi dell’adolescente che in copertina s’inventa un globo (accartocciato) come quello dei telegiornali di Mario Pastore e Paolo Cavallina ma con i caratteri grafici di
Carosello. Un mix di rabbia e tenerezza, di urgenza e nostalgia, che traversa pure le 14 nuove tracce – due gli strumentali tra cui la parafrasi morriconiana
Il suono, il brutto e il cattivo – che lui addita come risposta «ai quintali di chiacchiericcio e di pensieri inutili sotto cui stiamo seppellendo la vita vera». Il recupero di quelle chitarre un po’ sacrificate negli ultimi album riporta tutto indietro nel tempo, così come la scelta di far produrre tutto al tastierista Luciano Luisi evidenzia il desiderio di ricercare pure in studio il graffio del palco. Non per niente
Mondovisione è l’album d’inediti con la gestazione più lunga dei nove dati alle stampe dal rocker di Correggio in ventitré anni d’hit parade. Più che ad un’esigenza interiore, "Liga" dice di aver dato voce con questo disco, sul mercato da martedì prossimo, ad uno sfinimento «perché sono arrivato anch’io al punto in cui sono arrivati un po’ tutti: non se ne può più». Anche se nelle canzoni parla per astrazioni, arrivando a citare in
Siamo chi siamo Dante («Nel mezzo del cammin di nostra vita...»), Carducci («La nebbia agli irti colli...») e perfino Eraclito («Non ci si bagna... nello stesso fiume»). Però ammette di essere anche lui «nel club dei delusi dal Pd».Guai, però, a caricare la sua musica di responsabilità che non ha. «Rimango a bocca aperta quando mi accorgo che la gente conosce tutti i pezzi a memoria. In un momento come questo, in cui tutto è consumato velocemente, vuol dire che le canzoni hanno un potere enorme, quello di restare. Anche se pretendere che rappresentino la risposta a quello che la politica e, in qualche caso, la religione, non danno è aberrante. Tutto, infatti, può essere facilmente frainteso». Fra i solchi del nuovo album, che la prossima estate darà vita a dieci concerti in sette città tra cui Roma 30 e 31 maggio e Milano 6 e 7 giugno,
Il muro del suono punta il dito contro i "colpi di spugna" di una democrazia malata coinvolgendo economia, informazione e giustizia. «Esprime l’indignazione nel vedere che i responsabili della crisi mondiale non hanno ancora pagato per la miseria e le tragedie procurate all’intero pianeta – prosegue Ligabue – Oppure nel vedere i problemi che in Italia ha il sistema giudiziario».
La terra trema, amore mio scava tra le macerie interiori lasciate dal terremoto,
Per sempre carica di tenerezza il ricordo dei genitori, mentre i versi di
Ciò che rimane di noi («È un Natale molto duro, a luci quasi spente, su ogni mio regalo, non c’è scritto niente, quando sai com’è l’abisso, non sei più lo stesso, sai solo andare avanti, per come sei adesso, però alla fine di questo dolore, sarà per sempre alla luce del sole, ciò che rimane di noi») sembrano elaborare il lutto del figlio perso, ancora nel ventre materno, cinque anni fa. Canzoni, quelle più intime, che sono scritte sulla pelle viva, anche se non scaleranno l’hit parade.