mercoledì 5 ottobre 2022
Cento anni fa, l’8 ottobre ’22, nasceva il giocatore e allenatore svedese, il leggendario "Barone" che ha fatto le fortune di Milan e Roma
Nils Liedholm nella Roma 1982-83

Nils Liedholm nella Roma 1982-83

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Cento anni dopo la sua nascita, 8 ottobre 1922, c’è ancora e sempre una cosa, la prima che la memoria innesca, che connota Nils Liedholm. È lo stile. La classe del “Liddas”. Qualcosa che non è ancora stato replicato, nemmeno in chiave moderna, dai tanti personaggi che hanno popolato e popolano il giardino dell’italico pallone. La espresse anche nell’atto estremo, quando se ne andò, novembre 2007. Sui manifesti funebri affissi a Cuccaro, il suo buen retiro monferrino, solo una scritta a corredo del nome, delle date, dell’annuncio e dei parenti tutti: campione olimpico. La medaglia d’oro conquistata ai Giochi Olimpici del 1948 con la Svezia come epitaffio, highlight di un successo infinito da giocatore prime e da allenatore poi; medaglia praticamente mai citata da nessun cantore. A 15 anni dalla dipartita terrena, a 25 anni dalla sua ultima esperienza su un campo verde, “Liddas” il Barone è ancora un benchmark. E viene il dubbio che nessuno si sia mai avvicinato, che si sia forgiato dell’etichetta di “nuovo Liedholm” un po’ perché il calcio è troppo mutato, e un po’ perché il personaggio complessivo sia stato davvero pezzo unico.

Il mestiere e la sapienza, il «bon vivre» e il pallone ancora rude degli anni suoi, il genio che gli faceva emettere – sempre consapevolmente – giudizi, massime, paragoni, battute degne di uno fuoriclasse anche del pensiero. I passaggi di consegna della memoria lo stanno cristallizzando soprattutto proprio lì, tra l’aneddotica e le frasi irresistibili: si gioca meglio in 10 perché c’è più spazio, gli schemi che sono bellissimi perché in allenamento - ovvero senza avversari - vengono bene. E poi Tosetto (UC go, ala-meteora del Milan ’77) che è “il Keegan della Brianza” e in Brianza ci sono anche Mandressi e Antonelli, che della stessa zona diventano rispettivamente Rensebrink e Cruijff. Oppure la volta che all’Olimpico non si gioca, Lazio-Milan fermata da un’inedita nevicata romana. In distinta con il numero 11, per i rossoneri, Beppe Incocciati. Si recupera il pomeriggio seguente. Numero 11, Evani. «Ma come mister, ieri c’ero io». «Appunto, tu iocato ieri, sei stanco e ioca Evani». Irresistibile. E pur tuttavia, nelle celebrazioni per il suo secolo, sarebbe opportuno come il Barone Nils abbia letteralmente insegnato il calcio a un numero considerevole di gente che, prima di incontrarlo, faceva uno sport simile, ma non proprio quello.

Maestro assoluto della tecnica e della cosiddetta tecnica applicata, ovvero cosa fare con un pallone tra i piedi e anche quando il pallone non ce l’hai. È’ roba sua gente come Bettega, Antognoni, Bruno Conti, Franco Baresi, leader della leggendaria difesa del Milan sacchiano: il Vate Arrigo ha trovato il terreno dissodato, con Tassotti, Filippo Galli, Maldini tutti già abili e arruolati agli schemi del gioco a zona. È leggenda metropolitana che Liedholm sia stato il primo nelle nostre lande a sconfessare il domino delle marcature fisse (vedi alla voce Vinicio); certamente lo è stato nel dare una direzione, a mettere basi che abbiano portato a risultati importanti. Quello della Roma 1982-’83 è uno scudetto che nell’albo d’oro del campionato marca il territorio tra prima e dopo, nel Grande Libro del nostro calcio è il primo a «ssona», come pronunciava lui con quell’irresistibile slang italo-scandinavo. «Ssona » che è stato uno dei suoi capolavori didattici ancora prima che tattici, con l’indottrinamento di calciatori nati e cresciuti stando rigorosamente attaccati al loro uomo. E quando non capivano, durante gli allenamenti, per l’ulteriore spiegazione potevano bastare meno di dieci parole, in perfetto stile Nils: «Non devi marcare l’avversario. Marca la palla ». Quasi guardioliana, questa.

Ma poteva essere anche “contiano”, “Liddas”, quando – udite udite – appendeva la proverbiale flemma nell’armadietto dello spogliatoio e attaccava al muro qualche (raro) ribelle. Prima di vendere l’anima al calcio, Liedholm aveva giocato a bandy – una versione hard dell’hockey – e praticato la lotta, e lungo il percorso da calciatore gli era capitato di schienare in una lite nientemeno che il suo allenatore, lo “sceriffo” Gipo Viani. Proprio lui, il maestro dell’ironia e dell’autocontrollo. Ma essere saggio non significa essere debole, o arrendevole. Non sarebbe durato così tanto, il Barone, e non sarebbe ancora oggetto di paragoni e di omaggi, come quello che la sua Cuccaro organizza per salutare i suoi 100 anni. «Campione sul campo, signore nella vita», si intitola. E come ogni anno, poi, sarà la volta del premio Liedholm, nato nel 2011 su iniziativa del figlio Carlo per insignire un tecnico o un personaggio del football portatore di valori omogenei a quelli del Barone. Ultimo vincitore, Stefano Pioli. Degno, come tutti i predecessori. Ma eredi, ancora nessuno.

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