Lo spogliatoio del Leicester
Cinquemila maglie e altrettante sciarpe, ordinatamente suddivise per club di appartenenza e riposte una per una su un’infinita distesa di grucce, al fianco di biglietti, messaggi di affetto e cordoglio nel grande hangar dello stadio, ancora circondato dai fiori. A quasi un mese ormai dalla tragica scomparsa del patron del Leicester Football Club, il tycoon thailandese Vichai Srivaddhanaprabha, è questo lo scenario che si para di fronte al visitatore del Kings Power Stadium in un frenetico venerdì di lavoro. Del presidentissimo campeggia all’ingresso di Filbert Way la foto, al centro di un piccolo altare buddhista, mentre attorno è tutto un via vai di operai, alle prese con i lavori di manutenzione dello splendido terreno di gioco. Uno dei migliori cinque della Premier League. Quella Premier che miracolosamente per la prima volta nella sua storia il Leicester ha conquistato nella stagione 2015-2016 sotto la guida di “sor” Claudio Ranieri, eternato in un murales nelle vesti di imperatore romano. All’interno del Kings Power Stadiumdi si muovono frenetiche le guide, impegnate nei tour dell’impianto. C’è sempre lavoro, a tutte le ore per i commessi, intenti alla vendita del merchandising e di addetti al museo e all’archivio. Tra loro c’è il nostro uomo, John Hutchinson che, nel ruolo di responsabile dell’archivio appunto e di “storico” ufficiale del club, è il vero depositario della tradizione, dello spirito e dell’anima del Leicester. Sulla settantina, con un passato di professore nelle scuole superiori del Leicestershire, John è l’uomo-simbolo del modello Leicester, l’unico club calcistico d’Europa ad avere infatti alle proprie dipendenze uno storico di professione e a tempo pieno, incaricato di custodire la memoria e di divulgare e promuovere la “cultural legacy and heritage” delle volpi blu. Un compito che porta avanti con lezioni per i fan, attraverso i social e i media tradizionali, e soprattutto a livello universitario. La De Montfort University è infatti a meno di un miglio dal quartier generale dello stadio e i suoi professori sono ben lieti di collaborare con John, che sta vivendo giorni quanto mai intensi.
«Chiedo scusa per il disordine – attacca subito in stile molto British – ma come è facile immaginare, il lavoro da fare è enorme. Vedi tutte queste maglie, sciarpe e lettere? Tutto è stato tenuto, pulito e riordinato. Ci sono volute due settimane, cui seguiranno intensi giorni di attività per archiviare biglietto per biglietto e lettera per lettera. A ogni messaggio che ci è stato recapitato sarà mia premura rispondere personalmente. Sai, noi siamo una grande comunità. Abbiamo un’enorme responsabilità soprattutto nei confronti della città che, alle prese con tante criticità e caratterizzata soprattutto da un mix di culture e tradizioni differenti, è tenuta insieme anche e soprattutto dal club». E sì, è questa la missione culturale e sociale del club, di cui proprio Vichai Srivaddhanaprabha aveva voluto farsi carico, ingaggiando non a caso uno storico e divulgatore a tempo pieno. In un mondo schiacciato sull’immediato e sul presente, ci voleva proprio un uomo venuto dall’altra parte del globo per capire la cultura del paese ospitante, farne un modello d’eccellenza e sposarne la causa. Di qui anche l’acquisto di ben 67 purosangue, perché nel Regno Unito è l’ippica lo sport per eccellenza. Ma soprattutto l’impegno per la trasformazione del Leicester Football Club in una società esemplare, al servizio della comunità, ma anche all’altezza della sua storia. Il cuore geografico del Paese, il luogo in cui Riccardo III, l’ultimo re d’Inghilterra a morire in battaglia, cadde sconfitto nel 1485, è diventato così anche quello sportivo. Tutto merito della passione, che brucia negli occhi di John. Che si legge nel graffito dipinto sul lato sud del Clephan Building della De Montfort University: «The Foxes are on fire». E che anima tifosi e giocatori. Il signor Tom Merry si è fatto arrestare e bandire per 3 mesi dallo stadio, per aver scavalcato le transenne dello stadio e abbracciato a bordo campo il figlio in lacrime di Vichai, Ayawatt, in occasione della partita casalinga del Leicester contro il Burnley. Mentre il portierone, Kasper Schmeichel, figlio dell’eroe danese di Euro 1992, non ha esitato a dirigersi per primo verso l’elicottero in fiamme, per cercare di liberare dalle lamiere il suo presidente. Il presente è dunque sontuoso, al pari della storia del club, fondato nel 1884 e poi ricostituitosi con il nome di Foxes nel 1919, grazie anche all’intervento della municipalità. A Leicester sono infatti nati e cresciuti sportivamente due degli uomini-simbolo della storia del calcio inglese: il portiere Peter Shilton, che il pubblico italiano ha ammirato soprattutto durante i Mondiali del 1990, e l’attaccante Gary Lineker, che oggi sta facendo discutere anche a livello politico, per la sua campagna a sostegno di un nuovo referendum popolare sulla Brexit.
Ma una volta spenti i fari della ribalta, quale potrà essere il futuro del club? È questo l’angosciante interrogativo che stanno iniziando a porsi sempre più insistentemente i tifosi più lucidi e i diversi stakeholders del club. Non pochi colleghi docenti e giornalisti faticano a nascondere un certo pessimismo, paventando un inevitabile declino, di qui a cinque anni. Come se appunto quella del Leicester fosse la classica favola, destinata, così come nella canzone di Vasco Rossi, a scontrarsi e soccombere di fronte alla durezza della realtà. Un po’ come insomma se il Leicester attuale fosse il Verona dei miracoli di Osvaldo Bagnoli (campione d’Italia nella stagione 1984-’85) e poi destinato all’inesorabile declino. Ma per altri tale rischio non esiste. «Proprietà e management sono solidi - ripetono come un mantra – e il Leicester continuerà a rappresentare un faro per l’intera comunità». Difficile prevedere ora quale possa essere il futuro del club a medio-lungo termine. Certo è che con la morte di Vichai nulla sarà più come prima. Dei cambiamenti, peraltro già in parte previsti, come il trasferimento a Loughborough, in condominio con la locale e celebre università, del centro di allenamento, rischiano ora di provocare effetti più destabilizzanti, proprio in mancanza dello scudo e della mediazione del presidentissimo. Starà dunque alla comunità anzitutto difendere con orgoglio il proprio motivo unificante e fare in modo che la squadra resti la stessa. Proprio come il motto della città: «Semper eadem».