Gavino Ledda protagonista del film di Salvatore Mereu “Assandira” - -
Camicia a scacchi, t-shirt bianca sotto, sneakers ai piedi, una massa di capelli neri, Gavino Ledda ha 82 anni, ma sembra un ragazzino. È lui, l’autore di Padre padrone, al suo debutto come attore in Assandiradi Salvatore Mereu, Fuori Concorso al Lido (prodotto da Viacolvento e Rai Cinema, ora nelle sale), la vera rivelazione della 77ª Mostra del Cinema di Venezia. Questa sera, dalle 18.45, Rai Movie (canale 24 del digitale terreste) trasmetterà in diretta la cerimonia di chiusura, condotta dalla madrina Anna Foglietta, dove verranno assegnati i Leoni d’Oro. Ad aprire la cerimonia la poetessa Mariangela Gualtieri mentre Diodato canterà una versione rivista della sua Adesso. E mentre cominciano ad arrivare i primi premi (Il Leoncino d’oro di Agiscuola è andato a Nuevo Ordendi Michel Franco, mentre il Premio Pasinetti va Le sorelle Macalusodi Emma Dante), Venezia ha il suo vincitore morale in Gavino Ledda, nato pastore, passato dall’analfabetismo alla laurea, alla glottologia, all’Accademia della Crusca, alla poesia. Quando nel ’75 uscì il suo romanzo autobiografico e nel ’77 i Taviani ne trassero quel capolavoro cinematografico che è Padre padrone vincendo la Palma d’oro a Cannes, Gavino Ledda fece scalpore con la storia di quel bambino che voleva studiare ma che il padre toglieva da scuola perché aveva bisogno di un guardiano per le sue pecore. Oggi Ledda è capace di sorprendere ancora, convincendo la critica e il pubblico con una impressionante interpretazione, intensa ed emozionante, del pastore Costantino Saru. Nel film, liberamente tratto dal romanzo di Giulio Angioni edito da Sellerio, nel logudorese di Siligo intramezzato dall’italiano, Ledda è il protagonista di una tragedia epica in una Sardegna arcaica contaminata dalla modernità. Un padre asciutto e diretto, che non è riuscito a salvare il figlio nell’incendio di Assandira, la vecchia proprietà di famiglia che il giovane ha voluto trasformare in un agriturismo a misura dei clienti del Nord Europa. Un lungo e intrigante interrogatorio stabilirà la verità.
Gavino Ledda, come mai oggi diventa attore?
Io ero preso dai miei studi sulla lingua, ma Salvatore Mereu mi ha convinto con una parola: dolore. Gli dispiaceva se non avessi accettato. E questo mi ha commosso, perché io mi commuovo ogni tanto. Fare questo personaggio non era facile, ma lui è stato bravo a tirarlo fuori.
La Sardegna di oggi è davvero così cambiata come racconta il film?
Questo film è una denuncia, attraverso l’arte, perché senza arte non si denuncia niente. La Sardegna non si deve più trasformare così: c’è stata una degenerazione commerciale del turismo che ha snaturato questa terra. Fate in modo che la Sardegna fiorisca in un altro modo. Come quando ero piccolo io, era tutto fiorito, era tutto bello, l’acqua era dolce, il pane era dolce. Adesso è tutto acido.
La terra in cui lei è cresciuto, però, come racconta nel suo romanzo, era durissima…
Io preferisco una durezza naturale a una civiltà falsa. Grazie a questo film è la prima volta che la Sardegna viene dissodata cinematograficamente. Io sono pastore ancora, sono sardo, sono un nuraghe che è andato alla Sapienza di Roma e si è laureato in glottologia. Questo sono io.
Che differenza c’è fra il suo di padre padrone e il padre che lei interpreta oggi al cinema?
Sono passati 40 anni, quindi posso anche essere padre. Questo personaggio l’ho trovato dentro di me alla fine. Ho immaginato un Gavino Ledda che, anziché studiare contro la volontà di un padre padrone e laurearsi, magari avrebbe percorso malauguratamente un’altra storia. Purtroppo Costantino avrei potuto essere io.
Il suo rapporto col cinema com’è?
Nel 1986 ho portato a Venezia un film, Ybris, un gemello di Padre padrone, ma che non è stato capito perché era molto avanti rispetto al tempo. Mi hanno preso come un miscredente e iconoclasta, cosa che non sono, tuttt’altro. E un secondo film non me l’hanno fatto fare. Il cinema? Non mi interessa. Io sono fuori dalla realtà.
Invece quanto quel romanzo le ha cambiato la vita?
A me la vita non è cambiata e la cultura in Sardegna è rimasta ancora quella di Padre padrone. Ma quello che scrissi era un atto dovuto per la mia storia. Quello che sono riuscito a fare dovevo raccontarlo, perché non era solo la mia vita, ma quella di molti pastori della Sardegna e del mondo. Però mi sono reso conto che la parola dell’uomo va cambiata e ci ho messo 40 anni di studio, ma l’ho trovata.
Com’è la sua vita tutti i giorni?
Mi sono fermato tre anni per il film. Però riprenderò i miei studi per scrivere il De Rerum Natura del 3000. Io devo partire dall’atomo di Democrito per arrivare all’atomo di Bohr. In parola 'patente', ovvero una parola che si apre come si apre l’universo. L’uomo crede di essere il padrone della terra, è invece la terra la nostra madre.
Un lavoro dedicato alla natura in linea anche con quello che dice papa Francesco?
Finalmente abbiamo un Papa che si è reso conto dell’ecologia e mi piacerebbe tanto incontrarlo. Io ho scritto un poema sulla Terra, Aurum Tellus, pubblicato già nel 91. Quand’ero studente nel ’68 studiavo e amavo Lucrezio, poi ho cominciato a conoscere Einstein e mi sembrava che qualcheduno avrebbe dovuto scrivere il De rerum natura degli anni 60. Da sette, otto anni ho cominciato a studiare chimica e fisica e adesso sono pronto a scriverlo. Ma occorre un linguaggio nuovo, con una parola che pulsa.
Lei cosa suggerirebbe ai giovani oggi?
I giovani mi vogliono bene, perché i giovani capiscono. Molti da tutta Europa mi hanno detto che leggendo Padre padrone sono riusciti a diplomarsi e soprattutto a rispettare la natura e mi ringraziano ancora. Ai giovani suggerirei di vedere buoni film e fare buone letture. Lo spirito dell’uomo si è ammalato: lo salverà l’uso buono della scienza e l’arte. Non c’è altra medicina. Ma senza l’arte non si va da nessuna parte.
C’è posto anche per Dio?
Io sono credente non praticante. Gesù Cristo per me è Gesù Cristo e la Madonna è la Madonna. Io non riesco ad addormentarmi se non dico un’Ave Maria o un Padre nostro.