Chi le ha visionate integralmente – come lo studioso William Sessions – non esita a definirle «la più importante collezione di lettere della letteratura americana nell’ultima parte del secolo scorso ». Anche perché i temi trattati in queste decine di missive inedite sono quanto mai significativi: la fede, il mestiere di scrittrice, la letteratura e il cristianesimo. Vengono alla luce – e
Avvenire può riportarne in esclusiva alcuni passaggi – oltre un’ottantina di lettere mai viste di Flannery O’Connor, considerata la più grande narratrice statunitense del Novecento. Lo ha annunciato la Emory University di Atlanta, in Georgia, lo Stato nativo dell’autrice de
Il cielo è dei violenti, che ha svelato l’esistenza di questi testi con vent’anni di «ritardo», da quando, cioè, Elizabeth « Betty » Hester, corrispondente della O’Connor, decise di depositare alla Emory l’intero epistolario intrattenuto con la scrittrice. Parte di quel lascito venne pubblicato in
The Habit of Being.
Letters nel 1979 (in italiano uscito per Einaudi nel 2001 col titolo
Sola a presidiare la fortezza. Lettere), ma l’indicazione della destinataria che la O’Connor definì come « qualcuno capace di cogliere gli intenti del mio lavoro» era rimasta anonima. Ora si svela nella persona di Betty Hester, una lettrice con cui la O’Connor rimase in contatto dal 1955 al 1964, anno della sua morte. «Penso che la Hester fu la corrispondente più importante nella vita della O’Connor» afferma Steve Ennis, direttore della biblioteca dei testi rari della Emory University. «Questo viene confermato dal numero di lettere scritte quando la O’Connor era al sommo della sua creatività». Infatti lo sosteneva la stessa Flannery in una missiva a Betty datata 21 aprile 1956: «Stai pur certa che le tue lettere hanno un peso nella mia vita». Un po’ «bottega narrativa», un po’ sfoghi personali ed intimi, un po’ riflessioni religiose ad alta voce: questo e altro si trova nell’epistolario inedito della O’Connor, che conferma la caratura della grande scrittrice dell’America profonda. Come quando, scrivendo da Milledgeville il 5 ottobre 1955, annuncia a Betty la lavorazione del suo nuovo scritto narrativo, che sarà poi
Il cielo è dei violenti, uscito nel 1959: «Ti mando un capitolo del romanzo che sto scrivendo adesso ma non sentirti in dovere di rallegrartene o di commentarlo, dovrebbe solo assicurarti che non mi sono allontanata dal mio romanzo ironico su una donna intellettuale che si approccia a Dio». Vi sono poi alcuni riferimenti a grandi personaggi che per la O’Connor sono stati veri punti di riferimento culturali e spirituali. Annota nella lettera del 28 gennaio 1957: «Ho interrotto St. Gertrude per Edith Stein. Ogni cosa che Edith Stein ha fatto mi sembra la perfezione di quello che Simone Weil voleva fare, fino al punto di essere uccisa con il gas. Simone Weil non voleva qualcosa di meglio se non morire nella camera a gas. Queste due dovrebbero essere lette insieme». Vi è poi, nella missiva del 16 agosto 1958, uno squarcio di quel legame tra letteratura e cristianesimo che per la O’Connor era naturale quanto il respiro: «Ieri mi ha fatto visita il dottor T. R. Spivey dal Ga. State Colige of Bidnis Adminnerstrsion [sic!]. Mi aveva scritto una lettera prima dicendo che aveva letto
The Living Novel e che era interessato nella discussione del problema dell’esperienza religiosa nel romanzo. Così ieri è arrivato e abbiamo discusso del problema dell’esperienza religiosa nel romanzo. Egli conosce un bel po’ di teologia, è un protestante ed è interessato nella rinascita religiosa, crede che il protestantesimo sia colpito, non si è espresso sul cattolicesimo, sta pazientemente aspettando il grande crollo, la dissoluzione della vita moderna». Dal tono leggermente ironico di tale passaggio si percepisce come per la scrittrice della Georgia trasferire in romanzo il proprio sentire religioso non fosse una questione da salotto letterario, ma una vicenda che impegnava la sua esistenza. Che – come si deduce dal passaggio qui a lato tradotto – era intrecciata con il mistero della Redenzione. Nelle lettere ancora inedite compaiono poi, qui e là, curiosi bozzetti della vita di una scrittrice di successo come la O’Connor. Ad esempio, l’annotazione – ferocemente ironica – sui giornalisti: «Ieri – scrive il 5 settembre 1956 – una certa miss Cawthorne mi ha chiamato dal
Journal e mi ha fatto molto domande. Del tipo: miss O’Connor, ehm, … gli scrittori, lei lo sa, si ritiene amino le persone e io ho sentito … ehm .. che lei … ehm … non ama le folle e tutta la gente … ehm, cosa pensa di questo, cioè dell’amore verso le per- sone?». Ancora sul mestiere di scrivere: «Avevo un insegnante di scrittura molto bravo, Andrew Lytle, che diceva sempre: 'Scava il tema'. Colpisci il lettore ma non fargli mai capire cosa lo ha colpito; se lui capisce cosa l’ha colpito, non riuscirai più a colpirlo di nuovo». Vi sono poi consigli a Betty su come maneggiare il dialetto: «Tu sei troppo portata nel tuo uso del dialetto. […] Non puoi essere assolutamente naturalistica con il dialetto. […] È molto irritante per l’occhio del lettore e distrae la tua mente dalla storia e la mette in qualcosa di poco importante». E, infine, qualche giudizio di critica particolarmente esplicito: riferendosi ad un amico, scrive a Betty: « È rimasto choccato del fatto che io non ammiro Truman Capote e Carson McCullars. Io sono rimasta choccata del fatto che lui si sia stupito di ciò».
Pubblichiamo, qui di seguito, una lettera inedita contenuta nel volume.«Cara Betty, noi non siamo la nostra storia. È questo il senso della Redenzione» Milledgeville 31 Ottobre 1956 Cara Betty,questo weekend sarò troppo coinvolta nel disordine di Atlanta per scriverti, così ti sto scrivendo adesso anche perché vorrai conoscere cosa penso di tutto quello che mi hai scritto e anche perché non posso scriverti abbastanza in fretta e dirti che questo non ha creato la benché minima differenza nella mia opinione su di te, che è la stessa di prima, e che è questa: solidamente basata sul rispetto completo. Avevo un cugino che era solito dire: «Non c’è niente di più facile che seppellire i bambini degli altri», e io ho la tendenza a disfarmi delle sofferenze delle altre persone, ma questa, essendo un tuo dolore, sarà anche sempre parte di me. Mi colpisce per il semplice fatto che ha colpito te e ciò dura nel tempo fino a quando ferisce te.[…]Tu ti stai sbagliando nel dire che sei una storia di orrori. Il significato della Redenzione è precisamente che noi non dobbiamo essere la nostra storia e niente è più semplice per me che dirti che tu non sei la tua storia. Non ho dubbi che tu, come dici, sei insopportabilmente colpevole e che hai accettato la colpevolezza e hai trovato un modo di soffrirne e che fai questo per Dio. Questo è solo l’inizio di quello che devi accettare. Ciò che devi accettare adesso è il perdono e io ti dico che questo è la cosa più difficile da accettare e che devi farlo continuamente. Nulla di tutto questo è una cortesia o una gentilezza o qualcosa di buona educazione da parte mia, e non è comprensibile. Non inizio a comprendere. Ma tu ti preoccupi se mi crea una qualche differenza se tu sparisci dalla mia esistenza. Certo che fa differenza. Mi sarebbe impossibile lasciarti. Tu mi hai fatto solo del bene e mi hai dato il regalo che volevi, ma il fatto è che, sopra tutto e oltre a tutto, io ho una relazione spirituale con te; io sono la tua padrina, mi sono autonominata tale dalla prima volta in cui mi hai scritto, e questo significa che ho il diritto di stare dove sono stata messa. […]
Tua, Flannery