«Maladetta sei tu, antica lupa,/ che più che tutte l’altre bestie hai preda/ per la tua fame sanza fine cupa!» (
Pg XX, 10-15). È l’avarizia, l’avidità, nella sua fame senza fine cupa, «di tutte brame carica », la lupa famelica di averi, di ricchezze, di dominio, di potere, di gloria, il vizio capitale per eccellenza della nostra epoca che Dante immortala nel I canto dell’Inferno. L’implacabile «bestia sanza pace» che «i mortali affonda» è da intendersi quale
cupiditas, cupidigia, quella che san Paolo definisce «radix omnium malorum», matrice di tutti mali. Il simbolo biblico della lupa occupa infatti un posto centrale nell’allegoria morale della
Commedia, incarnando la più insidiosa e potente delle forze che impedisce all’intera umanità di salire il colle luminoso della felicità. La cupidigia, somma di ogni vizio, con la figliolanza degli altri mali che produce: egoismo, dispotismo, ingiustizia, corruzione, violenza, non solo è nemica della
caritas e antitetica ai precetti evangelici, è idolatria, dice la Scrittura. La bramosia dell’avere prende il primo posto e si sostituisce a Dio. «Si sente oggi il tanfo di ciò che Basilio di Cesarea chiamava lo 'sterco del diavolo' – ha detto più volte papa Francesco –. L’ambizione sfrenata di denaro che domina l’intero sistema socioeconomico, il capitale che diventa idolo e dirige le scelte degli uomini e li distrugge». Charles Pèguy con lucidità aveva precorso i tempi nell’osservare come la modernità è il tempo della cupidigia. Ne
L’argent (Il denaro) del 1914 afferma: «Siamo talmente tanto al servizio del denaro, esso è talmente tanto l’Anticristo e il padrone ovunque presente del mondo moderno che sottintendiamo (familiarmente, solitamente) sempre il suo nome nelle nostre frasi. Quando non si nomina si sa che si sta parlando di lui. Quando non si specifica, si sa che lui è lì…». Il Dio della cupidigia che uccide.