venerdì 28 ottobre 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
Si stava meglio quando si stava peggio? Magra consolazione, ma quando la lottizzazione era un’occupazione studiata a tavolino, razionale, condivisa e persino equa nella sua matematica proporzionalità, la tv faceva meglio il suo mestiere, godeva di credibilità e riscuoteva pure grandi successi. «C’erano recinti ben chiari entro cui ciascun partito esercitava il proprio controllo, ma in quegli spazi si godeva di una certa libertà intellettuale e questo è stato essenziale nel consentire l’invenzione e la produzione di tanti buoni programmi, innovativi nei contenuti e nei linguaggi. Programmi che, grazie al loro livello di qualità hanno permesso alla tv di interpretare quel ruolo sociale forte nella crescita civile degli italiani, che l’ha caratterizzata fin dalle origini. Oggi la tv è in crisi, la qualità dei programmi è scadente, gli ascolti sono in ribasso. Il mezzo ha le stesse potenzialità di un tempo ma è stato impoverito da una gestione miope dei partiti». Le considerazioni di Vanni Codeluppi hanno il sapore di un avvertimento, che in sintesi è diventato il titolo di un saggio, <+corsivo_bandiera>Stanno uccidendo la tv<+tondo_bandiera>, che l’esperto di comunicazione – Codeluppi insegna Sociologia dei consumi e Comunicazione pubblicitaria all’Università di Modena e Reggio Emilia – ha pubblicato per Bollati Boringhieri (pagine 110, euro 13,00). Molti hanno già fatto il funerale alla tv: secondo il luogo comune la sua progressiva insignificanza sarebbe frutto dell’inevitabile eclissi di un mezzo obsoleto nel panorama mediatico. Non è così, sostiene Codeluppi, anche se il momentaccio è indiscutibile. Le tv generaliste patiscono la moltiplicazione dei canali e la concorrenza di internet, i contenuti televisivi perdono di spessore e sono sempre più irrilevanti nella cultura sociale ma il mezzo non ha perso il suo appeal.
«La tv non muore, anche se in parte cambia nella tecnologia e nella fruizione. Non sarà sostituita da internet, poiché entrambe offrono qualcosa di diverso possono tranquillamente convivere. Del resto la tv non ha ammazzato la radio. In Italia – spiega l’esperto di comunicazione – i telegiornali delle 20 raccolgono tutti insieme circa venti milioni di contatti e, se guardiamo agli Stati Uniti, gli americani dedicano più tempo a guardare la tv che a svolgere complessivamente operazioni come navigare in internet, mandare e-mail, guardare film in dvd, giocare ai videogiochi, leggere giornali e parlare al cellulare». Oltre cento milioni di americani guardano in tv il Super Bowl, più di quanti in un mese si sintonizzano su YouTube. «La moltiplicazione dei canali digitali – continua Codeluppi – ha solo spezzettato numericamente il pubblico e innescato un travaso di personaggi, modelli comunicativi e generi televisivi. Poi è innegabile che l’evoluzione tecnologica abbia cambiato il mondo di fruire la tv, soprattutto nei giovani». Ovvero i nativi digitali modello multitasking, abili nell’impiegare contemporaneamente computer, smartphone, tablet e piccolo schermo compreso. La vera minaccia alla tv arriva da più lontano, dalla politica. «Per creare consenso la politica si è progressivamente appropriata della televisione, controllando persone e contenuti, ma così l’ha solo impoverita e indebolito i rapporti con gli spettatori». La diagnosi di Codeluppi è impietosa ma realistica: il potere ha occupato le stanze di chi dirige e frequentato assiduamente il teleschermo, con l’intento di diventare familiare e amichevole. «È stato sempre così ma poi si è esagerato. E tutto si è deteriorato, la classe politica ossessionata da visibilità e successo si è adattata al linguaggio televisivo. Le argomentazioni articolate e pacate sono diventate battute e attacchi brevi, elementari, umoristici e violenti in ordine sparso. Tutto dalla parte della gente. E ha prodotto negli spettatori la sensazione illusoria di partecipare alla vita politica. È la grande ideologia di questi anni, la mitologia del cittadino utente, internauta, consumatore, onnipotente e libero di scegliere. In realtà avviene esattamente il contrario, la tv cerca di non far partecipare le persone, mantenendole nell’ignoranza e riservando loro un ruolo passivo e subordinato».
Ma l’aver riempito tutti gli spazi possibili ha prodotto paradossalmente negli spettatori un effetto di rigetto e di saturazione per la politica e per la tv, in una spirale viziosa deleteria per entrambi». Insomma un boomerang: il mezzo non produce più consenso ma neppure programmi qualitativamente alti; peccato che nel perdere di credibilità si è finito per allontanare le élite culturali accontentandosi, salvo alcuni momenti d’informazione, di un pubblico anziano, poco scolarizzato e di bocca buona, appagato da programmi di basso livello. «Se, mettendo in conto il cambiamento generazionale la tv vuole salvarsi sul serio, deve cambiare strategia. Recuperare la sua natura di strumento che può creare cultura, emancipazione e crescita civile attraverso spazi, programmi e contenuti di valore. Esattamente ciò che gloriosamente ha fatto per anni. Non si tratta di ritornare nostalgicamente alla tv del maestro Manzi ma di ripristinare una valenza etica della televisione nel fare informazione, divulgazione e intrattenimento di qualità con linguaggi moderni». Un mix di ingredienti che può influire sulla crescita di un’opinione pubblica critica. E persino produrre spettatori consapevoli nell’esigere una tv sempre migliore. Ma i presupposti sono che si lasci spazio alle intelligenze e alla creatività.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: