CANNES Pochi, pochissimi sanno che a Trieste, in pieno centro, esiste una spiaggia divisa in due da un muro altro tre metri. Da una parte ci sono gli uomini, dall’altra esclusivamente le donne. È così da quando, alla fine dell’Ottocento, una palizzata fu eretta per evitare «atti contrari alla decenza». Oggi quel muro potrebbe essere abbattuto, ma i triestini non ne vogliono sapere di rinunciare al Pedocin, divenuta simbolo di un’identità culturale che affonda le proprie radici al tempo dell’impero austro-ungarico. Così Thanos Anastopoulos, greco di nascita e triestino di adozione, e Davide Del Degan, che invece in quel bagno ci andava da bambino con i nonni, hanno deciso di raccontare quel luogo e la sua variegata umanità nel documentario
L’ultima spiaggia, presentato tra le proiezioni speciali ieri a Cannes e in attesa di una distribuzione italiana. Riflessioni su confini e identità, sulle contraddizioni della natura umana e anche sulle differenze tra uomini e donne si intrecciano con grazia e divertimento in un film che traccia un affresco vivace dei frequentatori della spiaggia, isolando di tanto in tanto alcuni personaggi interessanti e coloriti. I due registi hanno frequentato lo stabilimento per un anno intero. «In una città dove i confini sono profondamente cambiati, dove le barriere, reali o simboliche, si sono sgretolate, dove la rivoluzione basagliana ha abbattuto il muro dei manicomi, quello del Pedocin è un muro che resiste perchè, paradossalmente, non divide ma preserva la libertà di uomini e donne. E ci aiuta a riflettere sul concetto di identità e a comprendere meglio quei “muri mentali” che, più o meno consapevolmente, Trieste ha ereditato dalla storia del Novecento», hanno dichiarato gli autori. «La spiaggia ci fa riflettere su una struttura molto interessante - ci racconta Del Degan - le famiglie arrivano e si separano per qualche ora, i bambini fino a 12 anni possono passare da una parte all’altra del muro. Gli uomini sono liberi per un po’ da impegni familiari e le donne se ne stanno al riparo da occhi indiscreti. Conquistarsi la loro fiducia non è stato facile». «Nel 2013, quando abbiamo cominciato a pensare al film - ha aggiunto Anastopoulos - quello del Pedocin ci sembrava fosse uno degli ultimissimi muri in Europa. Mai avremmo immaginato che dopo tre anni i muri sarebbero stati ancora di più. Da Theo Angelopoulos, con il quale ho avuto la fortuna di lavorare, ho imparato una cosa: un film più è locale e più è universale, capace di parlare a tutti. Dipende solo dallo sguardo con cui si osserva la realtà».
Alessandra De Luca © RIPRODUZIONE RISERVATA I registi Del Degan e Anastopulos raccontano il lido triestino diviso dall’800 tra uomini e donne. «Questo separè ci aiuta a riflettere su identità e “muri mentali”»