«I mostri esistono, ma sono troppo pochi per essere veramente pericolosi. Più pericolosi sono gli uomini comuni, i funzionari pronti a credere e ad agire senza fare domande». La frase di Primo Levi che apre il documentario Final account (Zef Productions and Passion Pictures), presentato Fuori Concorso al Lido, condensa il senso del ciclopico lavoro sul nazismo del regista inglese Luke Holland, scomparso lo scorso luglio a 71 anni. Dieci anni di lavoro e 300 interviste su una materia dolorosissima come la Shoah, raccontata dalle stesse voci degli uomini comuni che vi parteciparono come parte attiva.
La “banalità del male” prende corpo e voce nei volti di sereni anziani 80–90enni intervistati a partire dal 2008, chiamati a spiegare il motivo delle persecuzioni, a scusarsi (ma alcuni restano fieramente convinti delle proprie idee), ad affrontare il peso con cui sono andati avanti dopo il ‘45. Dare voce all’ultima generazione vivente di tedeschi che parteciparono al Terzo Reich di Adolf Hitler è il merito storico incommensurabile dell’opera di Holland, destinata a finire in musei, archivi e istituzioni. Il documentarista vi pose mano solo 10 anni fa quando scoprì di avere origini ebraiche e che i propri nonni materni austriaci erano morti nei campi di concentramento. Non senza fatica l’autore ha rintracciato i testimoni dello sterminio, tranquilli vecchietti che vivevano in qualche posto sperduto della Germania o dell’Austria, e che erano stati membri delle famigerate SS, soldati della Wehrmacht, guardie dei campi di concentramento ma anche silenziosi testimoni civili, tante persone “ordinarie” che hanno ugualmente partecipato alla vita del loro tempo. Circa 900mila tedeschi servirono nelle SS ed altri 900,000 lavoratori manuali parteciparono al sistema ferroviario che trasportava uomini, donne e bambini verso i campi di sterminio.
Dopo la guerra, la maggioranza di queste persone erano state considerate dei semplici funzionari invece che dei criminali di guerra, e ritornarono alle loro vite, professioni e famiglie senza alcuna resa dei conti. Che arriva oggi. A tutti Holland pone la stessa domanda: ti senti colpe- vole? C’è chi risponde “ma io facevo solo le buste paga”, chi ammette che “qualche notizia di quello che succedeva nei campi trapelava, ma se ne parlava sottovoce”, altri che ricordano il costante odore dolciastro del fumo che arrivava in Paese dai forni crematori di Dachau come un dato di fatto.
Molti, uomini e donne, rimpiangono la loro infanzia in cui hanno vissuto come un gioco l’addestramento paramilitare della Gioventù hitleriana e questo ci fa meglio comprendere come generazioni di ragazzini possano essere stati spinti scientemente dal nazionalsocialismo verso il lato oscuro.
«C’è l’altra parte della storia, quella sbagliata questa volta sotto i riflettori – ha detto il produttore Sam Pope alla Mostra di Venezia – a rispondere a domande sulla responsabilità, sulle valutazioni personali, sull’identità. È impressionante sentire persone normali complici degli eventi di quegli anni, fa capire come lo Stato può, come è accaduto alla Germania di Hitler, agire in modo per cui è sembrato normale concepire di voler eliminare la razza ebraica, far accettare a persone normali che l’inimmaginabile poteva essere realtà». Mentre Holland stava preparando il film, vedeva intorno a sé risorgere segni di odio, pregiudizio e simpatie neofascite in tutto il mondo.
Questo rendeva imperativo raccontare queste storie per mostrare come la gente avesse potuto accettare di partecipare a una vasta macchina mortale perdendo la loro stessa umanità. Una denuncia che dal Lido arriva anche dal bel film di Mauro Mancini, Non odiare, con Alessandro Gassman, medico ebreo alle prese con un neofascista. Avevano circa la sua età, all’epoca dell’Olocausto, gli anziani intervistati che Holland è riuscito a far aprire: i primi piani su queste persone fragili stride con quello che raccontano e con le immagini d’epoca provenienti dall’University College London, dalla Wiener Holocaust library di Londra e dal National Audiovisual Institute di Parigi, che si alternano alle interviste. Tra tutti il momento più attuale è quando nella villa di Wannsee alla periferia di Berlino, il luogo dove il 20 gennaio 1942 fu decisa la Soluzione Finale, Holland fa incontrare un reduce di quella conferenza con giovani neonazisti. L’invettiva di quell’anziano SS pentito contro i rigurgiti nazisti è il documento vivente più importante per non ripetere la Storia