Mark Zuckerberg, Gennaro Sangiuliano ed Elon Musk - Ansa
Chissà se al ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano l’altro giorno, discutendo con Elon Musk dei termini dell’accordo per portare «nell’antica Roma» la scazzottata del secolo tra Mister X e Mark Zuckerberg, non è passato per la testa almeno per un istante il titolo di un film uscito esattamente 30 anni fa, Proposta indecente. Celeberrimo al momento e poi giustamente dimenticato, vedeva il miliardario Robert Redford proporre un milione di dollari a una coppia di poveri ma belli per passare una notte con la moglie, Demi Moore. Gli sventurati rispondevano. Per l’incontro dei novelli gladiatori – il dibattito sulla disciplina marziale impiegata nello scontro è già entrato nel vivo – la cifra è molto, molto più alta (si parla di 200 milioni di euro, ma l’entità non è confermata) e, per nobilitare la transazione, verrà destinata ai fini più nobili: i bambini malati. Ma è impossibile distogliere lo sguardo da un uso cortigiano del patrimonio culturale, che la destinazione dei fondi in beneficenza rende ancora più ipocrita.
Poco importa che la «location epica» dello scontro, trasmesso in mondovisione sulle reciproche piattaforme social, non sarà come invece desiderato il Colosseo (forse Pompei, con i pronti auspici del sindaco). E sia chiaro: che all’interno del patrimonio archeologico si tengano spettacoli e manifestazioni, come già avviene, è sintomo di vitalità e di continuità d’uso. Se poi sono di qualità, anche se popolari, meglio. Così come va benissimo che si instaurino progetti di medio o lungo corso di parternariato pubblico-privato, come altre volte documentato in queste pagine, se fondati su presupposti culturali e di crescita civile. Infine, se i due uomini tra i più ricchi e pure più potenti del globo decidono liberamente di sfidarsi a duello, è una scelta loro (che con grandi probabilità sigilla simbolicamente un’epoca). Il fatto che desiderino farlo in Italia all’interno di un anfiteatro romano (non diciamo loro che ce ne sono di grandi e di integri anche in Francia, in Croazia, in Tunisia... tutti assolutamente romanissimi) è indice semmai di un’idea di storia che si ferma a Hollywood – sebbene almeno attraverso il Gladiatore dovrebbero ricordarsi che l’unico imperatore a scendere nell’arena per combattere fu il non brillantissimo Commodo, per il quale tra l’altro alla morte per congiura fu decretata la damnatio memoriae. Ma accettare entusiasticamente che quello scontro, che di proporzioni epiche ha soltanto il livello di kitsch, avvenga all’interno del patrimonio culturale della nazione è un problema vero, perché evidenzia i limiti di visione di cosa sia davvero un patrimonio culturale (e mettiamo in stand by la nazione). Se fosse un fatto di disneyficazione della storia sarebbe ancora quasi sopportabile. Qui però il modello è Las Vegas.
Chi è favorevole all’operazione sogna già giganteschi ritorni di immagine. Ma è davvero questa l’immagine che vogliamo veicolare nel mondo? (Pensando alla campagna “Open to Meraviglia”, forse davvero sì). Tutto questo mentre solo pochi mesi fa lo stesso ministero esultava per la sentenza del Tribunale di Firenze che, condannando l’uso pubblicitario del David di Michelangelo, enucleava un controverso diritto alla salvaguardia dell’immagine del patrimonio culturale come “espressione del diritto costituzionale all’identità collettiva dei cittadini che si riconoscono nella medesima Nazione”. Una difesa dell’identità collettiva che per magia svanisce davanti alla pecunia la quale, come noto, non olet. E forse – sia concesso di avanzare almeno il dubbio – davanti anche a un pizzico di vanità umanissima che però fa dimenticare il valore comune del bene. Proprio per questo i problemi sollevati dalla vicenda non sono una questione di snobismo, ma di dignità. Dignità che nello studio, nella cura e nella autentica valorizzazione della storia e della cultura ha alcune delle fonti più profonde, capaci di alimentare il fiume della cittadinanza. Una dignità che però non ha prezzo. La sola idea della proposta indecente è umiliante. Ed è difficile non pensare alla “serva Italia” di Dante – il padre della cultura di destra secondo Sangiuliano. C’erano tante risposte possibili alla richiesta di Musk e Zuckerberg. Prendendo a prestito le parole di Bartleby, scrivano a Wall Street, si poteva anche dire “Preferirei di no”.