Con il suo documentario
Sagrada – el misteri de la creació il regista svizzero Stefan Haupt ci guida alla scoperta della Sagrada Familia, la famosa cattedrale di Barcellona in costruzione da 130 anni. Lo abbiamo incontrato al Festival di Locarno in Svizzera per discutere del film, proiettato nell’ambito della rassegna
Semaine de la critique, che arriverà nei cinema svizzeri il 22 novembre e, si spera presto anche in Italia.
Perché ha scelto di girare questo film?Sono cresciuto in un ambiente cristiano, dove la Chiesa protestante aveva molta importanza. Anche se a vent’anni ho lasciato la Chiesa, ora che sto invecchiando realizzo quanto siano profonde le nostre radici. I miei genitori inoltre, erano appassionati di musica e di cattedrali antiche. Nel 2007, durante le riprese per un documentario, ho avuto occasione di visitare una di queste cattedrali. Percorrendola mi ha colpito il pensiero che era stata costruita da generazioni vissute secoli fa, e così mi sono domandato: cosa stiamo costruendo oggi? Due settimane dopo, sempre per via dello stesso documentario, mi sono recato a Barcellona, dove ho visitato la Sagrada Familia. Sono rimasto affascinato e ho deciso che volevo saperne di più.
Quale è il messaggio vuole trasmettere con questo lavoro?Più che trasmettere un messaggio mi pongo delle domande, sono quelle che mi interessano. Anche se non è un tema su cui insisto, spero che questo film aiuti a stimolare l’apertura mentale e la riflessione su fede e religione. Della Sagrada Familia mi piace proprio questo, il suo essere una fonte d’ispirazione. Sono rimasto impressionato dalle persone che ci lavorano, che stanno cercando con tutto il loro cuore di creare qualcosa di bello. Credo che sia una bella cosa.
Perché nel suo documentario ha privilegiato le interviste?Sono un regista, quindi è con questo mezzo che riesco a esprimermi meglio. Volevo fare un film per persone normali alle quali piacerebbe saperne di più, mostrare quello che i visitatori non possono vedere: siamo andati a filmare di prima mattina, quando non c’era nessuno, abbiamo usato degli elicotteri o delle gru. Tra i miei obiettivi c’era anche quello di fare sì che gli intervistati fossero naturali, spontanei, quindi ho preso il mio tempo. Ho visitato circa sette volte Barcellona in quattro anni, intervistandoli ogni volta, conoscendoli sempre meglio. Come speravo, il loro modo di parlare è cambiato. Il tempo è una delle cose più importanti nella produzione di un documentario.
Che cosa l’ha impressionata di più?Entrare e guardare in alto, è davvero incredibile. Guardare il sito di costruzione dall’esterno, vedere che ci stanno lavorando. Infine, l’incredibile quantità di dettagli: si potrebbe fare un film solo su una facciata.