«In God we trust » («In Dio confidiamo») ha finito per marchiare anche le banconote. Ma oltre al materialismo spicciolo, perché negli Stati Uniti d’America ogni presidente, soprattutto nel discorso d’insediamento, sente il bisogno di appellarsi alla divinità a nome della nazione? Da George Washington che invocò l’«Essere Onnipotente che governa l’universo» a Obama: « Questa è la fonte della nostra fiducia: la nozione che Dio ci chiama a forgiare un destino incerto». Tutti gli inquilini della Casa Bianca si sentono investiti da un’entità superiore. Siamo di fronte a un ipocrita rituale? E la religione negli Usa ha solo un significato cerimoniale? Non è affatto di questo parere Robert N. Bellah, apprezzato sociologo americano della religione, oggi ottantaduenne. « Pochi – spiega lo studioso – si sono resi conto, che, parallelamente alle chiese e chiaramente differenziata da esse, esiste in America una religione civile articolata e ben istituzionalizzata. Una dimensione religiosa che ha una sua serietà e integrità e merita la medesima attenzione che dedichiamo alla comprensione di ogni altra religione». Sono tesi che Bellah esprimeva già negli anni Sessanta e che risultano ancora di una certa attualità a rileggerle nella nuova traduzione italiana del volume «La religione civile in Italia e in America» a cura di Matteo Bortolini. Un testo che racchiude due saggi dell’intellettuale statunitense in cui viene fuori un curioso raffronto tra due Paesi diversi per storia e per cultura. Non c’è dubbio che negli eventi capitali della storia degli Usa si sia cementata una particolare «religione civile» , espressione coniata da Jean- Jacques Rousseau nel suo Contratto sociale. Parliamo di un insieme di credenze, simboli e rituali, legati sì alla cultura biblica e cristiana, ma non riconducibili ad alcun credo particolare. È vero che la Rivoluzione che sancì la nascita degli Stati Uniti fu letta come l’atto finale dell’Esodo dal vecchio mondo al di là delle acque dell’Oceano. La Costituzione fu adottata come le sacre scritture e Washington apparve come il Mosè scelto da Dio per guidare il suo popolo fuori dalla tirannide. Ma è pur vero che ogni presidente, anche citando Dio e pur essendo il Cristianesimo il credo più diffuso, si guardò bene dal menzionare Cristo. Perfino il cattolico Kennedy non fece alcun riferimento cristiano ma preferì genericamente citare Dio in nome di una presunta universalità che comprende tutti i cittadini statunitensi di ogni credo. Questa religiosità civile, rileva Bellah, «muove dalla preoccupazione che l’America sia una società conforme al volere di Dio per quanto possibile agli uomini e un faro per tutte le nazioni» . Anche se l’idea di una missione provvidenziale ha generato la tentazione di arruolare Dio al servizio della nazione americana. Un rischio sempre attuale soprattutto dalla fine della Seconda guerra mondiale e che spesso ha fomentato l’antiamericanismo. Eppure è singolare la volontà di un presidente che non si impegna solo con il popolo, ma anche con Dio: la nazione e l’operato dei suoi leader si sottopongono al giudizio divino e gli obiettivi della vita nazionale – la libertà, l’uguaglianza, la ricerca della felicità –, non hanno un risvolto esclusivamente terreno. Ben diverso è il caso italiano, per il quale lo studioso americano ha individuato almeno cinque storiche religioni civili: cattolicesimo, socialismo, liberalismo, attivismo - il «romanticismo morboso» da cui nacque il fascismo – e il «basso continuo» , una sorta di religione precristiana, che resiste in forme paganeggianti. Non si può parlare solo di culture politiche perché tutte fanno riferimento a una dimensione del vivere civile ultraterrena. Però, secondo Bellah, sono schemi simbolici incapaci di comunicare tra loro gli per atavici particolarismi italiani e per la natura del cattolicesimo italiano: esso è sempre stato una religione civile anche «perché il papato con le sue profonde implicazioni politiche è stato per secoli un’istituzione italiana» . Per cui liberalismo, socialismo, attivismo, «erano destinati a diventare religioni civili in concorrenza con la religione civile cattolica» . Al di là delle semplificazioni di Bellah in merito al contesto italiano, nel confronto tra i due Paesi appare determinante una conflittualità che negli Usa non è mai esistita: «La religione civile americana – scrive il sociologo – non ha mai assunto posizioni anticlericali o di secolarismo militante» . E anche nella separazione tra Stato e Chiesa, c’è stato sempre il riconoscimento dell’opera delle confessioni religiose nella formazione di buoni cittadini, un bene senza alcun prezzo.
Robert N. Bellah
LA RELIGIONE CIVILE IN ITALIA E IN AMERICA ArmandoPagine 128, Euro 9