venerdì 24 febbraio 2012
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​Le Tre Cime di Lavaredo? D’accordo, il massimo della bellezza. L’Antelao, le Marmarole, il monte Rite con il «museo fra le nuvole» di Reinhold Messner? Tutto attraente. Ma le Dolomiti sono anche altro. Se a un non cadorino, ad esempio, si vuol far capire, in pochi secondi, come un piccolo popolo sia stato e sia tuttora capace di autodeterminazione e di autogoverno, basta accompagnarlo nella storica e ancora funzionante Sala del Consiglio della Magnifica Comunità di Cadore. Quando, il 21 luglio 1996, Giovanni Paolo II, allora in soggiorno a Lorenzago, la visitò, sgranò gli occhi e, incuriosito, si fece spiegare perché quel luogo era così caro ai cadorini.Fin dal 1338 questa terra è riuscita a darsi statuti di autogoverno, strutturandosi in 27 Regole e 10 Centurie. Il palazzo della Magnifica e la torre civica, dalla cui sommità risuonava la campana dell’Arrengo per chiamare i deputati al Consiglio, costruiti fra il 1444 e il 1492, testimoniano ancor oggi che questa, alla pari di quella friulana, è considerata ancor oggi una «piccola patria».  Dopo l’occupazione napoleonica ed il Regno d’Italia, la Magnifica è risorta nel 1875 per volere dei comuni che già facevano parte del glorioso Cadore, come ente morale, col compito di conservare e promuovere l’unità spirituale e culturale della regione. L’arcidiacono del Cadore fa parte di diritto di questo Consiglio. «La  comunità cristiana del  Cadore  fu fondata presumibilmente già nel secolo IV dai  missionari aquileiesi – ricorda monsignor Renzo Marinello, l’arcidiacono –. La chiesa pievanale di Pieve, dedicata alla Madonna, è documentata dal secolo XII ed è la madre di tutte le parrocchie del Cadore». L’edificio attuale, progettato da Domenico Schiavi di Tolmezzo (secolo XVIII), conserva opere d’arte ed arredi antichi: pitture dei «nostri»  Tiziano, Francesco, Cesare, Marco e Orazio Vecellio; poi del Bassano, Dolci, Catena, Palma il Giovane, Cattarino Veneziano.Ha 82 anni, monsignor Marinello, ma adopera il computer come fosse la stilo. Fu lui, da allora parroco di Longarone, a informatizzare per la prima volta il lungo elenco dei morti del Vajont. «Ora il momento è difficile per tutti e a tutti i livelli – riflette –; una ragione in più per tenere in vita e far funzionare bene la Magnifica e l’Arcidiaconato, a servizio di questa nostra "Piccola Patria". Non dimentichiamo, fra l’altro, che alle funzioni di consiglieri, di assessori e di presidente non è legato alcun emolumento o gettone di presenza: c’è solo l’onore di essere eletti e l’orgoglio di operare disinteressatamente per il bene comune». Venire in Cadore e non entrare nella sala del Consiglio della Magnifica Comunità e almeno nelle chiese più ricche di storia e di arte (l’arcidiaconale Sant’Orsola di Vigo, dove è stato in visita anche Benedetto XVI, Santa Margherita di Salagona, San Nicolò di Comelico, la Difesa di San Vito eccetera) significa, per l’arcidiacono, «viaggiare come bauli». L’approccio culturale, invece, apre il baule, cioè la mente e il cuore alla percezione di valori insospettati. «Ho percepito, ad esempio, lo stupore felice di tanti turisti, quando ho spiegato loro che in Cadore non sono mai esistiti, né esistono tuttora titoli nobiliari e che i Cadorini sono sempre stati e sono tuttora gelosissimi dell’eguaglianza di tutti i cittadini e che Napoleone non aveva proprio alcunché da insegnarci né alberi della libertà da impiantare vicino a quello del nostro stemma comunitario con il bravo motto «Justitia et fide conservabitur».Dopo la delocalizzazione e il conseguente crollo dell’occhialeria e del suo indotto – per tanti decenni il fondamento dell’economia cadorina – , né per Marinello, né per il sindaco Antonia Ciotti, né per il presidente degli albergatori Gildo Trevisan, ci sono altre vie aperte se non quella dell’«industria turistica» con una forte connotazione culturale. «Natura e cultura, dunque. Due beni reali, invidiabili, non delocalizzabili». Ma la capitale del Cadore ha come vocazione quella di fare sistema. Almeno fra i Comuni della Magnifica. I quali hanno tutti delle specificità da valorizzare. La piccolissima Cibiana ad esempio, con i murales di Vico Calabrò e dei numerosi altri artisti, unitamente ai due musei di Messner, il primo ai 2180 metri del Rite, il secondo (taglio del nastro in estate) in valle. E a Cibiana si trova pure il museo delle chiavi. Auronzo, con il grande lago e le Tre Cime, senza dimenticare Misurina. Lorenzago, con il museo di Wojtyla. E le valli del Comelico disseminate di preziose chiese. I problemi non mancano per le terre alte. Il più stringente? Il mantenimento dell’ospedale.
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