Franco Mussida, ex chitarrista della Pfm, nel 1984 ha fondato il Cpm - Stefano Albanesi
Esserci o non esserci, in presenza o a distanza? Dilemmi da Covid oltre che vagamente shakespeariani. Opzioni comunque non più antitetiche, come lasciava intendere il Bardo, ma da conciliare. Anzi, da armonizzare. Specialità di Franco Mussida, una vita ad accarezzare le corde dell’anima progressiva della Premiata Forneria Marconi e un’altra vita a trasmettere in modulazione di frequenza emotiva l’arte varia della musica che gira intorno alle sempre più nuove generazioni. I ragazzi italiani degli ultimi 35 anni, quelli tra i 16 e i 24. Quelli che sbandano e che stonano, ancor più nella vita quotidiana che nel suonare.
«Negli anni dell’adolescenza la musica sta ai ragazzi come l’acqua sta ai fiori – esemplifica a colori il 73enne chitarrista milanese –. I giovani assimilano l’emozione pura senza bisogno di sovrastrutture. Gioia, nostalgia, malinconia vengono percepite per ciò che sono. Però, in tutti questi anni di esperienza didattica qualcosa è cambiato». Lo speciale osservatorio e laboratorio di Mussida è il Cpm Music Institute, scuola di musica popolare contemporanea da lui fondata a Milano nel 1984 e che tre anni fa ha ottenuto dal ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca l’autorizzazione a rilasciare certificazione di Alta formazione artistica e musicale.
Mussida, forse però il cambiamento più grosso è stato quello di sei mesi fa. Il Covid ha stoppato la vita sociale, anche la vostra musica?
Il Cpm durante il lockdown ha sopperito facendo migliaia di lezioni online. E ben vengano. Una modalità che può permettere di intercettare tanti giovani interessati alla musica e che vivono in posti remoti. Certo, altra cosa è il contatto diretto. La musica è un fenomeno di relazione emotiva che necessita di incontro e fisicità. Ciò detto, le opportunità vanno colte e così della cosiddetta didattica a distanza facciamo tesoro anche in questo nuovo anno scolastico.
Cosa prevedete?
Intanto le lezioni in presenza con gli allievi iscritti, poi da novembre il Cpm Music Institute avvierà nuovi corsi online di basso, batteria, canto, chitarra e pianoforte–tastiere. Potenziamo le esperienze maturate durante il lockdown, quando abbiamo dato vita anche a un canale web, la CpmTv: piattaforma online con un palinsesto di concerti, workshop, incontri, interviste. La tecnologia ci viene incontro ed è un bene. Ma attenzione all’isolamento, la musica è altro. Anche il vero musicista è altro.
E com’è?
Educa la mente, il corpo e l’anima, si mette in gioco in tutta la sua essenza. Deve entrare nel corpo del suono, deve viverlo. Poi c’è chi produce musica con un approccio quasi esclusivamente mentale e preferisce le macchine. Sono le due figure che in questo momento stanno agendo sul mercato.
Chi prevarrà?
Semmai la considerazione da fare è sulla diversa intenzionalità e qualità: cosa ci offre una strada e cosa l’altra sotto il profilo della centralità della persona. Cuore o cervello, insomma.
Sono forse inconciliabili?
Tutt’altro, ma ci vuole discernimento. Viviamo un periodo in cui siamo chiamati a riflettere sul senso del valore e della differenza. Ed è impossibile apprezzare la qualità se non percepisci il senso del valore, che deve essere compreso dalla mente ma soprattutto dal cuore. A cui molta musica industriale non è in grado di parlare.
È industria anche la musica dei talent show?
Lì la musica è più che altro un pretesto. Sono programmi di grande fascino, un mix di piaceri per lo spettatore che sta sul divano. Ma non dobbiamo far diventare la musica una competizione da vedere in tv. Così non può avere sedimenti a livello di formazione artistica e personale. Ma se queste sono soltanto spettacolarizzazioni televisive, il vero problema è che in Italia manca a tutti i livelli un progetto di educazione all’ascolto.
Un’annosa questione...
Ancora irrisolta. Dovrebbe esserci un ruolo educativo a favore degli ascoltatori, ma non c’è nessuno che lo svolga. Io sul mio profilo facebook ho cominciato a mettere delle riflessioni pubbliche pensando all’ascoltatore, che è il vero protagonista del fenomeno musicale, ancor più del musicista. Che comunque a sua volta vive la dualità dell’ascoltarsi. Appunto per questo il cuore dell’esperienza musicale è l’ascoltatore.
Mai così bistrattato come oggi, nell’era digitale. O no?
Difficile e ingiusto giudicare. Diciamo che nelle generazioni analogiche come la mia, che sono poi passate al suono artificiale, c’è una sensibilità alla timbrica musicale più di natura sensitivo–emozionale che mentale o visionaria. E questo è legato anche a un diverso ruolo delle componenti melodiche. La melodia nel pop attuale ha perso di interesse, insieme all’armonia. Oggi timbrica e ritmo sono i due elementi preponderanti. La melodia è semmai ridotta a cantilena ritmica e qui si gioca il ruolo della parola. Con la conseguenza di parlare meno di emozioni e più di concetti.
Vorrebbe dire che gli adolescenti sono disillusi e meno sognatori anche per colpa della musica che ascoltano?
Diciamo che le nuove generazioni fanno più fatica a mostrare le proprie emozioni e preferiscono raccontarsi da un punto di vista mentale. Mentre il canto e la melodia sono un volo, la parola è camminare sulla terra. Sono due dimensioni diverse. Quando canti abbandoni la terra per abbracciare un altro mondo, quello del sentire, della percezione. Quando invece parli sei nella dimensione dell’ascolto, più cerebrale. Più mente che cuore.
E la mente spesso mente.
Riguardo alla musica, la qualità del suono tocca di più la percezione diretta ed emotiva: melodia e armonia sono appunto qualità. Nella musica attuale c’è un 50 per cento di ritmo, un 20 per cento di elementi timbrici e il resto di armonia e melodia: questo è il cocktail dei produttori di musica popolare. Domani, chissà, ci saranno altre combinazioni... E magari tra vent’anni ascolteremo armonie straordinarie in quasi totale assenza di ritmo.
Ma in un futuro più vicino?
Certamente oggi domina la moda di uniformarsi a una ripetitività di gesti, come elemento psichedelico che proietta in loop sensoriali che danno quella percezione di leggerezza di cui si ha bisogno nel critico passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Ma guai a giudicare, bisogna soltanto comprendere.