La cappella di Notre-Dame du Haut a Ronchamp progettata da Le Corbusier
Maria non è solo un nome, ma è 'il nome', per cui risulta necessario, per scoprirne l’intimità, la valenza, la forza e il significato più profondo entrare 'nel nome' e raccontarlo, divagando tra memoria, ricorso ai testi della tradizione cristiana e alla pittura del Medioevo, riferimenti letterari e cinematografici, perché come sottolinea l’autore, «questo libro è una testimonianza personale, non un saggio». Si tratta di una doverosa precisazione, che illumina anche la sfida che Alessandro Zaccuri ha messo in atto nel suo Nel nome (NNE, pagine 168, euro 14,00): contributo, il quarto, alla collana 'CroceVia', mostra la sua qualità di narratore maturo, eclettico, in grado di affrontare anche una sorta di memoir innovativo, come stile e struttura, segnato da una capacità di mettersi a nudo, senza ostentazioni, con un rigore di scrittura lucidissimo, ma al contempo aperto alle variazioni e agli improvvisi cambi di stile, che incrociano racconto, meditazione, investigazione filologica, ma soprattutto anche la possibilità di sottendere a questo viaggio, in una linea trasversale, anche un autoritratto di sé e del proprio mestiere di scrittore e di acuto lettore. La memoria, quella della madre, del suo ricovero al Granelli, della sua morte, diventano una prospettiva che, pur se lontana nel tempo, all’inizio degli anni Ottanta, riesce attraverso le parole del figlio a farsi dimensione contemporanea, presenza continua, grazie a queste variazioni, «perché è un nome che si cerca. E un volto che gli corrisponda». Così per lo scrittore «mettersi sulle tracce di un nome è un’avventura che non si compie senza rischi e per la quale non esistono mappe né percorsi prestabiliti. Occorre fidarsi e per fidarsi occorre pregare. Ogni preghiera è preghiera del nome: ripetizione, invocazione». Proprio per questa libertà nel costruirsi una propria mappa narrativa, che però nasconde il desiderio intimo di riportare alla luce una lezione di vita, con tutto il pudore che è necessario, soprattutto quando è il figlio a raccontare, Zaccuri in una prospettiva narrativa diversa, ma parallela, incrocia in molte pagine, proprio per quella necessità di rendere 'testimonianza', il senso e la sacralità che sono proprie di Un altare per la madre, il capo d’opera di Ferdinando Camon e anzi per la madre Anna arriva a scegliere un luogo dove «si riconosce che Maria è ovunque », una cappella, visitata in un pellegrinaggio privato, su cui si chiude il libro, nel villaggio di Ronchamp, a Notre-Dame du Haut, la chiesa costruita da Le Corbusier, con il pannello centrale, una lastra di vetro, con scritto solo ' marie': «Il nome ti risponde dal vetro, mentre in cielo passa un’altra nuvola e per la prima volta, grazie all’ombra che si produce in terra, vedi il tuo volto tracciarsi tra le lettere». È questo il senso di una traversata che fa rivivere una Milano diversa, che oggi ha cambiato il suo aspetto in una prospettiva hi-tech, dove si usavano ancora i gettoni per il telefono, con la comparsa delle modelle in via Seprio, a contrasto con le luci sterili e dolenti dell’ospedale. Al contempo Zaccuri la mette a confronto con inserti più 'pop', quello della ragazza senza volto che balla in una pubblicità di quegli anni. O quando racconta di Romeo e di Giulietta in parallelo con West Side Story, riprendendo anche aneddoti cinematografici come il casuale incontro, a Crotone, tra Pier Paolo Pasolini e la ragazza giovanissima che sarebbe stata la sua Maria nel Vangelo secondo Matteo. Ritorna alle sue passioni di giovane lettore e poi rilegge i Vangeli alla ricerca di Maria e delle altre Marie che vi compaiono, mettendo a confronto i vari racconti, in una sorta di strategia investigativa intima, che si avvale della conoscenza del mondo artistico medioevale, che qui trova un gioiello di riferimento nel museo d’arte di La Spezia, il Compianto sul corpo di Cristo di Lippo di Benivieni: «Del Medioevo è l’eccezione ad attrarmi, non la regola. Mi riconosco nell’incrinatura, nello scarto che allontana dalla perfezione». Ci sono le storie della Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, ma anche Bonvesin de la Riva e Dante e un viaggio in due classici della letteratura, Cuore di tenebra di Conrad e Moby Dick di Melville. Tutto per ritrovare il mistero e al contempo il fulgore del nome, quell’assoluto che aveva intuito anche un poeta come Mandel’štam in una poesia in cui riecheggia l’episodio della Maddalena al sepolcro: «Ciò che ci resta è il nome soltanto: / protratto suono meraviglioso». Il racconto si fa di nuovo preghiera, assume la forma di una coroncina del rosario di soli cinque grani: «Tre accostati in successione l’uno all’altro, per alludere al mistero della Trinità, e gli altri due isolati, uno per parte». Così anche la storia narrata si fonda su questi pochi segni: le tre Marie che indicano la dimensione del racconto cristiano («Quella delle Marie evangeliche, per diventare storia di un nome, deve essere prima storia di corpi»), il Calvario e due elementi che riportano sempre alla necessità dell’interpretazione. C’è soprattutto, continuamente espressa in varie forme, essenza certa e benedizione richiesta dallo scrittore, di «un solo nome, ripetuto più e più volte… Una volta non basta. Per l’amore come per lo spavento, una volta sola non basta mai».