Antonio Moresco in una scena del film «La lucina», diretto da Fabio Badolato e Jonny Costantino
Le due piante grasse sono rigogliose, addirittura impetuose nell’esuberanza primaverile. Ma in realtà sono una, non due. «Quarant’anni fa, quando me la regalarono, stava in un vaso minuscolo – racconta Antonio Moresco –. Da allora è morta e si è ripresa non so quante volte. Mi domando che cosa significhi adesso tutta questa fioritura e davvero non so come rispondermi ». Sta sul balcone dello studio milanese di Moresco, questa pianta enigmatica che sembra uscire da una delle fiabe tanto care a questo scrittore inclassificabile: insurrezionale e mistico, spirituale e politico. Lentissimo, a sentire lui, ma straordinariamente prolifico, a tratti perfino iperattivo. «Sono vittima di me stesso, delle mie passioni e dei miei entusiasmi», confessa mentre passa in rassegna gli impegni che lo attendono. Il 9 giugno, insieme con Repubblica Nomade (espressione della comunità di liberi camminatori attiva da un decennio), intraprenderà un percorso dedicato al “Cuore d’Italia”. «Partiremo da Firenze, toccheremo Assisi, il 28 giugno arriveremo a Recanati, sul Colle dell’Infinito – spiega –. Sono i luoghi di Dante, di Francesco, di Leopardi. Nel cuore geografico del Paese e al cuore di quanto l’Italia ha saputo esprimere di grande quando, anziché rinchiudere le menti, sapeva allargare gli orizzonti». A metà novembre, invece, sarà la volta del convegno “Terrestri”, in programma a Napoli tra il Museo archeologico nazionale e le Ville vesuviane. Moresco anticipa i nomi di alcuni relatori (Amitav Ghosh, Bruno Latour) e intanto respinge ogni ipotesi di semplificazione: «No, non è ambientalismo generico, è una riflessione più vasta, più radicale», commenta. Un altro versante ancora è rappresentato dal cinema.
Dopo aver interpretato La lucina, il film che Fabio Badolato e Jonny Costantino hanno tratto dal suo romanzo omonimo, Moresco sta lavorando con gli stessi registi a una versione decisamente antiaccademica del Don Chisciotte , il cui cast si annuncia sorprendente. «Sarà una produzione molto più complessa di quella della Lucina, che pure continua a riscuotere molto interesse», dice (il film è visibile in streaming sul sito www.lalucina.xyz). E poi ci sono i libri, certo. Sem – la Società Editrice Milanese fondata da Riccardo Cavallero, ex direttore generale Mondadori – ha da poco pubblicato i primi volumi della collana nella quale saranno raccolte le opere di Moresco. Si comincia con il ritorno di Lo sbrego (pagine 154, euro 13,00) e di Fiaba d’amore del vecchio pazzo e della meravigliosa ragazza morta (pagine 124, euro 13,00), più avanti arriveranno l’edizione aggiornata degli Scritti di viaggio, di combattimento e di sogno e la novità di Canto di D’Arco, 800 pagine di epopea metafisica che riprendono, espandendoli, i temi e i personaggi del romanzo L’addio. «Il mio primo libro, Clandestinità, è uscito all’inizio degli anni Novanta – sottolinea Moresco, che è nato a Mantova nel 1947 – e ancora adesso mi sembra di non fare altro che esordire. Ho cominciato a scrivere mentre mi trovavo in punto buio della mia esistenza: tutto, intorno a me, pareva sprofondare nel buio. Mi alzavo in piena notte, mi chiudevo in bagno e scrivevo, scrivevo. Come la Bambina dei Fiammiferi nella fiaba di Andersen. Non riesce a vendere la sua mercanzia e allora, anziché tornare a casa per prendere la sua dose di rimproveri e magari di botte, decide di restare in strada. Il suo è un gesto assoluto, di puro estremismo spirituale. Cerca di scaldarsi accendendo i fiammiferi e ogni fiammella scatena una visione: il cibo che la bambina non può mangiare, la ricchezza che le è negata, gli affetti che ha perduto. Al mattino i passanti trovano il suo corpo senza vita, la compiangono, ma non sanno nulla delle meraviglie apparse alla luce dei fiammiferi. Ecco, per me la letteratura è questa possibilità, infinita e libera, di aprire visioni nel chiuso del mondo».
La riscrittura della Piccola fiammiferaia è una delle Fiabe da Antonio Moresco illustrate da Nicola Samorì per il volume che nel 2017 ha avviato il sodalizio tra lo stesso Moresco e Sem. A questo insolito e affascinante libro d’artista ha fatto seguito nei mesi scorsi Il grido (pagine 204, euro 16,00), il pamphlet in forma di romanzo che sta all’origine del dibattito che si svilupperà a “Terrestri”. «Come atto finale del convegno – annuncia Moresco – celebreremo la fondazione di una repubblica immateriale sul cratere del Vesuvio. L’immagine è da prendere alla lettera: siamo davvero sulla bocca di un vulcano, la nostra casa è davvero in fiamme, come sostiene Greta Thunberg. Sa che cosa mi colpisce dello Sciopero per il clima? Che il movimento non raccoglie gli studenti universitari, come sarebbe accaduto fino a qualche tempo fa, ma i ragazzi delle superiori. Per me è il segno di come la dimensione orizzontale, di una cultura condivisa, abbia perso contatto con la realtà. I più consapevoli oggi sono gli adolescenti, che ancora non sono usciti del tutto dall’infanzia e che di quell’età conservano la verticalità istintiva: la capacità di andare a fondo e di guardare verso l’alto». Moresco è massimalista da sempre, ancor prima di rivelarsi come scrittore. Ha studiato in seminario e ha militato nella sinistra extraparlamentare (la famosa pianta grassa viene dalle barricate di una casa occupata), con il tempo ha elaborato un metodo di lettura – dei processi storici, oltre che dei libri – fortemente influenzato dalla diplopia di cui soffre, un disturbo visivo che lo costringe ad adattare di continuo la messa a fuoco. Da qui deriva, almeno in parte, la severità dell’analisi proposta nel Grido: «Mi hanno accusato di cupo catastrofismo – afferma Moresco –, ma non sono io a parlare del rischio di estinzione dell’umanità scatenato dalla nostra stessa specie. Sono gli scienziati a sostenerlo e non credo che sia siano accordati per giocarci una burla di proporzioni colossali. Si nega l’evidenza per non evitare di rovinarsi l’umore, questa è la verità. Ogni volta che qualcuno avverte dell’incombere di un pericolo, lo si accusa di essere una cassandra. Ma Cassandra aveva ragione, il cavallo che i greci avevano lasciato davanti alle porte di Troia era veramente pieno di guerrieri nemici, portarlo in città era una follia...».
Costruito come un’installazione nella quale Moresco (o il suo doppio, forse) dialoga con Darwin e Marx, con Stephen Hawking e con Emanuele Severino, Il grido è anche una presa di distanza dalle convenzioni del realismo narrativo: «Non si può raccontare la realtà servendosi di uno schema – ribadisce –. Semmai, lo scrittore deve attraversare la realtà e farsene attraversare, spezzando l’illusione di una concatenazione lineare che la fisica moderna ha messo in discussione da oltre un secolo. È il motivo per cui, da qualche tempo, nei miei libri si verifica una specie di cortocircuito tra la vita e la morte: ci sono varchi, brecce, passaggi. Solo così è ancora possibile tornare a guardare al futuro, in una prospettiva altrimenti negata sia da chi vuole persuadersi che tutto andrà come prima e meglio di prima, sia da chi si lamenta del peggioramento costante. Oggi più che mai, luce e tenebra non sono in contraddizione, ci dev’essere un canale che li mette in comunicazione, al termine del quale gli opposti si fondono, tornando all’unità». Moresco sa di maneggiare un materiale molto sensibile dal punto di vista teologico. «Non rinnego l’importanza che il cristianesimo ha avuto nella mia vita e nella nostra cultura – conclude –. Gesù, Lazzaro, Francesco, i mistici e più ancora le mistiche. Più ci penso, più mi sembra che il pensiero religioso si confronti con qualcosa di originario, verso il quale stiamo finalmente tornando a muoverci». Un altro esordio. Una nuova fioritura.