Non è stato sufficiente, peccato. Le tre punte, la voglia, la gente bianconera e tutto quello che è stato messo in campo e fuori. La Juventus e il suo allenatore ammainano il sogno Champions dopo avere cercato, nella teoria e nella pratica, l’impresa di una qualificazione contro una squadra, il Chelsea, decisamente più attrezzata, forte, matura per palcoscenici di questo tipo. Del Piero, alla vigilia, aveva parlato di una gara da giocare col cuore, con l’orgoglio, per la squadra. Ha fatto seguire i fatti alle parole accettando la sempre mal digerita posizione di trequartista, lasciando a Iaquinta e Trezeguet il compito di essere i terminali dell’inedito tridente buttato nella mischia da Ranieri. Ci hanno messo 18 minuti, i due là davanti, a eseguire: unodue pregevolissimo e stangata del calabrese in corsa: Cech è battuto, i conti aperti a Stamford Bridge sono già in pari. Nel frattempo, però, è già stato perso per strada Nedved, uscito in lacrime dal campo per una botta al costato (11’). La sua voglia è raccolta da una squadra che morde, c’è. Ma lo scoccare del 45° minuto del primo tempo è paragonabile a quello della mezzanotte nella favola di Cenerentola. L’incantesimo della Signora, già boccheggiante, incapace di trattenere e gestire il pallone e braccata ormai da più di un quarto d’ora, è smantellato in pieno recupero da una zampata di Essien, primo ad arrivare su una palla respinta dalla faccia interna della traversa su tiro sporco di Lampard: 1-1. Il bonus fortuna era già stato speso un sospiro di gara prima, quando Buffon aveva smanacciato via dalla porta una punizione al bacio di Drogba. La sensazione è che la palla fosse nettamente entrata. L’intervallo non è stato premessa di una staffetta nell’inerzia del match, di una Juventus capace di un nuovo, letale colpo di acceleratore. Non tanto per un problema di volontà e di agonismo, quanto di una situazione tecnica e tattica ormai ingestibile. Ranieri è tornato al classico 4-4-2 solo dopo avere speso inutilmente un ulteriore quarto d’ora di gioco. A uscire è Iaquinta, ma l’ingresso di Giovinco riequilibra almeno un filo la squadra e, soprattutto, consentono a Del Piero di riprendere la sua posizione e di giracchiare intorno a Trezeguet. Guarda caso, dopo pochi minuti (65’), Cech emenda diverse incertezze precedenti mettendo fuori una zuccata del francese innescata dal capitano. Da lì in poi, altalena per cuori forti: Chiellini, ubriaco di ansia e di fatica, cerca e trova l’espulsione (70’), Del Piero si fa... parare una punizione, ma l’intervento non è di Cech, ma del neoentrato Belletti. Calcio di rigore, che il numero 10 non fallisce (73’). Ora Amauri che rileva Trezeguet ha poco più di 10 minuti a disposizione per passare alla storia bianconera, ma il pallone giusto capita su piedi abituati a decidere partite di questo genere: sono quelli di Didier Drogba, il minuto è l’84’ e sancisce che la prima grande avventura europea della nuova Juventus finisce qui. E’ servita a farsi crescere un po’ di pelo sullo stomaco e capire che cosa può servire -ad esempio, un paio di giocatori di maggiore qualità- per non annegare a questi livelli. Per il resto niente processi, la Juve esce tra gli applausi. All’anno prossimo.