La sede centrale dell'Università di Jena - WikiCommons
Sorprenderebbe chiunque l’esito di una ricerca su un atlante storico per trovare informazioni su Jena, cittadina immersa nel cuore della Turingia, alla fine del Settecento. Si faticherebbe a immaginarla, oggi, com’era poco più di duecento fa. Tanto più se la si associa al ruolo che ha giocato nella storia della filosofia e della letteratura europee. All’eclissarsi del Settecento Jena contava appena quattromilacinquecento abitanti e solo ottocento edifici. Ben poco a livello di numeri, eppure in quel torno d’anni poteva fregiarsi, senza tema di smentita, del titolo di capitale culturale del Vecchio Continente. Poche case ma molte librerie, in proporzione, e nelle taverne che la punteggiavano era più facile discettare di filosofia e libertà che di allevamenti e messi.
Recarsi a un concerto, nella primavera del 1797, significava trovare schierati, uno a fianco all’altro, Johann Wolfgang von Goethe, il più grande scrittore dell’epoca, Johann Gottlieb Fichte, il filosofo del momento, le cui affollatissime lezioni che mettevano in discussione ogni dogmatismo attiravano studenti da tutta Europa, Alexander von Humboldt, appena avviato a una carriera che avrebbe trasformato la nostra comprensione del mondo naturale, August Wilhelm Schlegel, che insieme alla moglie Caroline lavora alla traduzione delle opere di Shakespeare. Come se non bastasse per le strade della cittadina sarebbe stato facile imbattersi in Schiller, nell’altro Schlegel, Friedrich, nel poeta e filosofo Friedrich von Hardenberg, più noto con il nom de plume di Novalis, quasi la personificazione del Giovane Werther cantato da Goethe, e nell’allora ancora promettente pensatore Friedrich Schelling, la cui Naturphilosophie proponeva di «essere una cosa sola con tutto ciò che vive », vedendo l’arte come espressione di quell’unione.
Di questo quadro jenese eccezionale, racconta il bellissimo Magnifici Ribelli. I primi romantici e l’invenzione dell’Io di Andrea Wulf, appena pubblicato da Luiss University Press (pp. 506, euro 24,00). Con uno stile avvincente l’autrice ripropone le vicende, le faide e le disavventure di quello che definisce il Circolo di Jena. Un gruppo di uomini e donne, come dimenticare tra le altre proprio la già ricordata Caroline Böhmer, che, stando a fianco di Schlegel e Schelling, ha contribuito a rivoluzionare credenze e valori dell’epoca. Si tratta, certo, di sensibilità diverse, prospettive teoriche in conflitto, esistenze tormentate e in attrito, eppure da Jena non solo è nato il Romanticismo ma sono stati lanciati molti semi che non hanno cessato di buttare nemmeno nei secoli a venire.
Ispirati dagli sconvolgimenti della Rivoluzione francese, gli jenesi lanciavano, spavaldi, la sfida a un mondo che consideravano in affanno, superato e, soprattutto, ingabbiato in frusti schemi. La loro irriverenza e la convinzione di essere avanguardia di un mondo diverso, più autentico ai loro occhi, li conduceva a posizioni radicali. Sostenevano l’autodeterminazione e l’espressione di sé contro il conformismo forzato. Difendevano l’unità di Spirito e Natura, anche se una società sempre avviata alla svolta industriale sembrava intenzionata a tenerli separati. Comunque hanno lottato per diffondere un’immagine più ricca della vita umana in un’epoca di crescente razionalizzazione, rivendicando il ruolo delle passioni in tempi che celebravano sacrifici sull’altare della Dea Ragione.
Quella inanellata da Andrea Wulf non è però solo una felice e avvincente narrazione, comprendente anche i gossip, di un momento straordinario della cultura europea, in cui tutto sembrava possibile. L’autrice affronta anche tematiche teoretiche. Pone in evidenza le conseguenze inattese della svolta romantica. « La liberazione dell’Io dalla camicia di forza di un universo divinamente preordinato - ammonisce la storica di origine tedesca ma naturalizzata inglese - è alla base del nostro pensiero odierno. Ci ha regalato il più estasiante di tutti i poteri: il libero arbitrio».
Ma la nuova strada inaugurata dal Circolo di Jena genera, secondo lei, pure «l’attrito tra le strabilianti opportunità del libero arbitrio e le trappola dell’egoismo». Non sfuggivano a questa consapevolezza neppure Fichte, Novalis, Goethe e gli altri jenesi. Non per nulla le loro energie erano volte alla «ricerca del punto di equilibrio tra la limitatezza della prospettiva individuale e la fede in un cambiamento per il bene comune».
Una delle ragioni per cui Jena ha potuto accogliere in quel momento storico tanti innovatori del pensiero senza incorrere in censure e ostacoli fu, oltre alla frammentazione in più di millecinquecento staterelli e Freie Stadt di un declinante Sacro Romano Impero, era l’insolita costituzione dell’università, che permetteva ai suoi professori una libertà altrove inimmaginabile, anche per il venir meno dei controlli. Lo assicurava lo stesso Schiller.
Uno scossone particolare fu l’arrivo nella cittadina di Fichte. Il filosofo giunse lì in seguito a un fraintendimento, che portava i decani dell’università a ritenerlo il più fedele discepolo di Kant. Per lui «la fonte di tutta la realtà è l’Io». Il concetto di Ich formulato da Fichte poneva l’Io all’origine del non-Io, vale a dire di tutto il resto. In un’epoca di grandi sconvolgimenti politici e ideali che mettevano in discussione il mondo di ieri non poteva non sedurre frotte di giovani, affascinati dalla forza della sua presenza e dal suo modo di essere profeta. Novalis, a Jena per stare a fianco dell’amata che si sarebbe da lì a poco spenta per tisi, sviluppava nottetempo il pensiero di Fichte imputandogli l’incapacità di integrare nel suo sistema l’amore.
Il Circolo di Jena si scioglie, a seguito di faide e litigiosità, nel 1803, disperdendosi in tutta la Germania e oltre. Le truppe francesi, tre anni dopo, sarebbero entrate a Jena, mettendo a sacco la città e incendiando gli edifici, prima della battaglia che si conclude con una devastante sconfitta per l’esercito prussiano. Quella notte l’imperatore vittorioso dorme nel letto di Goethe e per gli abitanti della città, ma i semi del Romanticismo oramai corrono lungo tutte le strade dell’Europa.