giovedì 20 agosto 2015
​La lotta per i diritti da diversificato l'offerta televisiva che propone anche i campionati esteri. Ora lo scontro si sta spostando sui piccoli schermi di smartphone e tablet.
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C’è stata una sera recente quella di venerdì scorso, 14 agosto - in cui il pallone, senza fare rumore, è rimbalzato in tutti i tasti dei telecomandi, compresi quelli atti alla gestione dei decoder. Un puzzle di amichevoli e di prime partite ufficiali diffuse in diretta - alcune in chiaro e gratuitamente, altre a pagamento - ha coinvolto tutti e quattro i principali broadcaster nazionali: la Rai (che ha trasmesso la Coppa Italia), Mediaset (in chiaro l’amichevole del Napoli e in pay il campionato francese), Sky (Roma-Siviglia e la Premier League) e, infine, La7 (Supercoppa di Spagna). Tutti, o quasi, presenti nel cocktail servito come aperitivo della nuova stagione telecalcistica, che si può considerare ufficialmente cominciata con Lazio-Bayer Leverkusen, playoff di quella Champions League che rappresenta letteralmente lo spartiacque, o ancora meglio l’epicentro della scossa tellurica abbattutasi su milioni e milioni di consumatori catodici. È innegabile, infatti, che sia stata la scelta di Mediaset dell’acquisizione e ancor di più del mantenimento dell’esclusiva assoluta, in chiaro e no, del più importante torneo d’Europa e del mondo ad avere scatenato una competizione, una corsa al diritto che non ha eguali nell’ormai ultraventennale storia di tesserine, abbonamenti, decoder, “padelloni” satellitari e similia.  Con il piatto forte davanti a un solo commensale, i contorni sono decollati nel valore - non nel gusto - in quanto diventati altamente strategici per tentare di comporre una controfferta adeguata. Sky è dunque stata costretta a una politica di “acquisizione selvaggia” che l’ha portata a disporre dell’intera Serie A, della B, dell’Europa League, delle tre principali leghe europee (Germania, Inghilterra, Spagna) tramite Fox Sports, sottratto al pacchetto del digitale terrestre di Mediaset, e ancora delle partite delle qualificazioni europee e mondiali. Il tutto con sforzi decisamente più alti che nel recente passato, se è vero che la Liga iberica, pagata nel passato trienno 7,5 milioni, è costata esattamente il doppio e che la Serie B, che qualche anno fa veniva quasi regalata ai broadcaster del massimo campionato, ha reso necessario un esborso di 14 milioni per i prossimi tre calendari. Un numero davvero enorme di partite, condizione obbligata per tentare almeno la tattica dell’accerchiamento allo sfarzoso castello, costruito in tempi record tra la sorpresa di molti, dal “Biscione”.  Tanti, nell’ambiente, erano e forse sono tuttora convinti che l’investimento-monstre compiuto dai Berlusconi fosse prodromo a una vendita a terzi - magari allo stesso Murdoch - di Premium, la branca dei contenuti pay diventata una società del gruppo a se stante. Invece, a tutt’oggi, la grande scommessa è condotta in prima persona. Cologno Monzese ha compiuto uno sforzo titanico negli investimenti: oltre un miliardo solo per l’accoppiata Champions League - Serie A (della quale Mediaset detiene tutte le gare delle 8 “big” del torneo e il pacchetto che dà la precedenza su interviste, spogliatoi, bordocampo), a cui vanno aggiunti i denari per la Ligue 1 francese e il campionato di Scozia. Tutto è convogliato in un nuovo canale, Premium Sport, in cui è concentrata l’eccellenza di tutta l’offerta sportiva, eventi e informazione. In più, altri stanziamenti sono stati necessari a migliorare ancora di più il pack tecnologico, la qualità: perché sottotraccia, si sta giocando tra i giganti della comunicazione un’altra fondamentale partita, che si disputa sui veri “piccoli schermi”, quelli degli smartphone, dei tablet mini e maxi. Il wi-fi al potere, in Italia, è un fatto ancora di là da venire, mentre in America studi e sondaggi dimostrano che il mobile ha sorpassato il pc ed è alternativo o addirittura simbiotico rispetto alla tv: se non sono in casa, me la guardo sul telefonino; se ci sono, mano alle “apps” o ai social network che mi consentono di interagire con i gestori della diretta o con tutti. Mediaset, che nel primo decennio del nuovo secolo è sempre risultata piuttosto freddina nei confronti del web e dintorni, ha completamente svoltato e non è casuale, dunque, che a capo di tutto il nuovo universo Premium ci sia Yves Confalonieri, reduce da anni di guida e sviluppo dei new media: «I clienti pagano un abbonamento per vedere un prodotto, per vedere un contenuto on demand – spiega il manager – e quindi è solo giusto che pretenda di vederlo, e bene, in tutte le piattaforme che desidera. Premium è letteralmente online, non solo in onda».   Sulla grande sfida lanciata a cavallo della Coppa delle grandi orecchie (contenente un’altra sfida, vale a dire la Juventus mai visibile gratis per tutta la prima fase), Confalonieri conferma come Mediaset «dopo anni giocati in difesa, abbia deciso di andare all’attacco. L’investimento è notevolissimo, ma sono soldi spesi bene, la Champions è l’evento per eccellenza, più di una Serie A che negli ultimi anni ha perso molto in fatto di pathos e paga anche certe lotte di potere in Lega. Un diritto non è solo una cosa che si possiede, ma è qualcosa che poi devi gestire: noi, oltre che al successo commerciale, puntiamo a quello di un’identificazione tra Premium e una nuova maniera di “parlare” il calcio, più diretta, meno patinata, più vicina al linguaggio di tutti i giorni, più “social”. E comunque, tra free e pay trasmettiamo la Champions dal 1992: conosciamo benissimo quello che abbiamo tra le mani».  E il bello, forse, che sullo sfondo di questo rovente “Clasico” della pay-tv resiste, e anzi, cresce il sottofondo del chiaro. Mamma Rai, partita malissimo con una disastrosa edizione della Supercoppa Italiana prodotta dai cinesi, terrà duro con Coppa Italia e Nazionale in attesa dell’epilogo della stagione, quando riprenderà in mano il mazzo con gli Europei di Francia.  Dal canale 59 del telecomando, poi, ecco spuntare a Gazzetta Tv: nata come espressione video del quotidiano e del sito “rosa”, ha avuto la sua prima, reale impennata a giugno, quando si è aggiudicata e ha proposto con buona qualità di commento e approfondimento la Coppa America. Ora insiste con la Coppa di Lega e il Championship (Serie B) d’Inghilterra: briciole, forse, ma di vero pane, fatto di campi verdi, stadi, tifosi, calciatori in tenuta da calciatori e palloni che rotolano oppure no dentro una rete. Perché il calcio parlato è bellissimo e altrettanto dipendente da quello giocato: per il quale gli italiani hanno sempre delirato, così - e i primi dati degli abbonamenti sembrano confermarlo - sono perfino disposti a estrarre il portafoglio, esercizio mai amato nelle nostre latitudini. Fossero tutte amate le tasse, come quella per il pallone. 
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