Anticipiamo in queste colonne l’intervento del segretario dell’Onu Ban Ki-moon su «Le Nazioni unite di fronte ai problemi attuali», che esce sul prossimo numero di «Atlantide», quadrimestrale della fondazione per la Sussidiarietà diretto da Giorgio Vittadini, a giorni in libreria ed edicola. Il numero s’intitola «Al cuore delle reti» e presenta scritti, tra gli altri, di Antonio Tajani, Franco Frattini, Amr Moussa, Christine Rosen, Clay Shirky, Jean-Michel Glachant, Nouriel Roubini, Giuseppe Tripoli, Corrado Passera, Fulvio Conti, Willie Walsh e Giuseppe Bonomi.
Sono ben noti a tutti i pericoli del momento che stiamo vivendo: siamo di fronte a una crisi globale che investe il settore finanziario, energetico e alimentare. I colloqui sul commercio internazionale sono ancora una volta falliti. Abbiamo assistito al riaccendersi di conflitti e violenze e a una nuova retorica dello scontro. I cambiamenti climatici minacciano sempre più il nostro pianeta. Diciamo spesso che i problemi globali richiedono soluzioni globali, tuttavia oggi ci confrontiamo anche con una crisi di diversa natura. Come le altre non conosce confini, colpisce tutte le nazioni, complica ogni problema. Mi riferisco alla sfida per una leadership globale. Siamo alla vigilia di una grande transizione. Il nostro mondo è cambiato più di quanto ci rendiamo conto. Vediamo sorgere nuovi centri di potere e leadership – in Asia, America Latina e nel mondo che si è sviluppato recentemente. I problemi sono cresciuti molto e sono diventati molto più complessi. In questo nuovo mondo, la nostra sfida è sempre più quella della collaborazione che non quella dello scontro. Le nazioni non possono più proteggere i loro interessi o far progredire il benessere dei propri popoli senza renderne partecipi anche gli altri. Vi è oggi il pericolo di perdere di vista questa nuova realtà, fatta di nazioni tese più a guardare al proprio interno invece che verso un futuro condiviso. C’è il rischio di ritrarsi dai progressi finora raggiunti, soprattutto nel campo dello sviluppo e di una divisione più equa dei frutti della crescita generale. Questo è tragico, perché dovrebbe essere ormai chiaro che si deve fare di più, non di meno. La crescita globale ha portato miliardi di persone fuori dalla povertà, ma chi è rimasto tra i poveri non ha mai sentito la sua povertà così aspramente. La legge e la giustizia internazionale non sono mai state così ampiamente accettate come in questo sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Tuttavia, chi vive dove questi diritti sono violati non è mai stato così indifeso. La maggior parte di noi vive in pace e sicurezza, ma la violenza sta aumentando in molti Paesi. Tutto questo non è giusto, dobbiamo fare qualcosa e, con una forte leadership globale, lo si potrà fare. Le Nazioni Unite sono i campioni dei più vulnerabili e abbiamo il dovere di fare ciò che la compassione e il rispetto dell’uomo ci chiede di fare [...]. Abbiamo bisogno di un nuovo concetto di etica e regolazione degli affari, con più compassione e meno acritica fede nella 'magia' dei mercati. Dobbiamo pensare come debba evolvere il sistema economico globale per rispecchiare pienamente i cambiamenti del nostro tempo. Per quanto riguarda i diritti dell’uomo, dobbiamo assolutamente affermare il principio che la giustizia è un pilastro della pace. Comprendiamo che non tutto è nero o bianco, che la politica può essere molto complessa e richiede continui compromessi, ma i crimini contro l’umanità non possono rimanere impuniti [...]. Nazioni Unite più forti per un mondo migliore. Il fondamento di tutto il nostro lavoro è l’accountability, il rendere conto di questo lavoro. Il Segretariato delle Nazioni Unite, me incluso, deve rendere conto agli Stati membri ed è per questo che spingo così decisamente per una riforma dell’Onu. Dobbiamo cambiare la cultura delle Nazioni Unite, dobbiamo diventare più veloci, più flessibili, più efficaci e più moderni. Dobbiamo sostituire l’attuale sistema di contratti e condizioni di servizio, perché non è funzionale, è demoralizzante, scoraggia la mobilità tra i nostri dipartimenti e il personale sul campo. Promuove la stagnazione invece che la creatività e indebolisce la nostra risorsa più preziosa: il corpo di funzionari internazionali che è la spina dorsale delle Nazioni Unite. È giunto il momento di investire di più nel nostro staff, di iniettare nuova flessibilità e nuovo dinamismo nell’organizzazione. Ogni Stato membro è responsabile verso gli altri Stati e verso l’organizzazione. Non possiamo riformare questa vitale organizzazione senza provvedere le risorse necessarie. Ci vuole leadership per onorare gli impegni presi e le promesse fatte di fronte a un’opposizione politica o a limitazioni di bilancio. Ci vuole leadership per impegnare i nostri soldati in compiti di pace in una zona di guerra. Ci vuole leadership per proclamare la giustizia, per agire sui cambiamenti climatici malgrado le potenti voci contrarie, per opporsi al protezionismo e fare concessioni commerciali. Questo è il nostro compito. Abbiamo di fronte a noi una grande opportunità, vi sono molte ragioni per essere ottimisti, l’incertezza di oggi cesserà. I problemi con cui ci confrontiamo sono una nostra creazione e per questo possiamo risolverli. Insieme, agendo con saggezza e responsabilità, prepareremo il terreno per una nuova era di prosperità globale, più ampiamente ed equamente distribuita. Caschi blu in Congo. Sotto, Ban Ki-moon