Una scena toccante di
Schindler’s List l’ha ben raccontato: anche nei più terrificanti campi di concentramento c’era musica. In alcuni veniva diffusa musica da ballo. In quasi tutti i campi, gli ufficiali nazisti formavano orchestre di internati sia per far suonare loro marce mentre le squadre si avviavano al lavoro (così da dare una parvenza militare alla vita del campo), sia per allietare le serate dei militari.Spesso in questi anni ci si è chiesti quale fosse «il suono della Shoah». Tanti artisti hanno creato spettacoli e concerti per cercare di far rivivere in musica la disperazione, il dolore e l’orrore dei campi. Nessuno però aveva ancora indagato a fondo l’enorme patrimonio musicale prodotto in quei luoghi. «Ci sono voluti 22 anni di ricerca per trovare e raccogliere le musiche» spiega Francesco Lotoro, autore e produttore artistico dell’
Enciclopedia discografica KZ MUSIK (Musikstrasse). Si tratta del più avanzato stadio di ricerca della musica dei campi di concentramento. «Dal 1943 al 1945 – continua Lotoro – decine di musicisti imprigionati hanno scritto oltre 4mila partiture musicali, di tutti i generi, e lasciato 13.000 documenti cartacei, note scritte su qualsiasi materiale, compresa la carta igienica. Tutto questo fa ora parte dell’Enciclopedia composta da 24 CD-volumi e un libro di guida all’ascolto dell’Enciclopedia, profilo dei Campi, note sui musicisti e piano dell’Opera».La monumentale ricerca ha scandagliato ovunque. Nei campi di prigionia, di transito, di lavori forzati; in quelli di concentramento, di sterminio e nelle carceri militari.«Il risultato è la più completa e aggiornata Enciclopedia discografica contenente l’opera omnia musicale (produzione lirica e sinfonica, da camera, strumentale, pianistica, liederistica e corale; cabaret, jazz, canto religioso, popolare e tradizionale, opere frammentate o ricostruite dopo la Guerra) composta dal 1933 (anno di apertura dei Campi di Dachau e Börgermoor) al 1945 ad opera di musicisti imprigionati, deportati, uccisi, sopravvissuti provenienti da qualsiasi contesto nazionale, sociale e religioso in tutti i Campi di concentramento» spiega Lotoro. Che aggiunge: «Un’intera generazione di artisti in quegli anni è stata spazzata via: la sua influenza, se fosse sopravvissuta, sarebbe stata immensa sull’Europa futura. Di questi, ad esempio Viktor Ulmann – gassato a nel 1944 ad Auschwitz – è tra i maggiori rappresentanti, così come Gideon Klein o Hans Gal, Boaz Bischofswerder».Per Franco Bixio, presidente dell’Associazione Musikstrasse che ha promosso il progetto, «la musica merita tutto questo così come la Memoria». Non a caso Fiamma Nirenstein, che ha aperto la presentazione dell’opera alla Camera dei deputati, ha definito quest’Enciclopedia «un patrimonio dell’umanità».