venerdì 15 dicembre 2017
I Los Angeles Lakers ritirano le maglie di Bryant, il campione che ha lasciato i parquet nel 2016 dopo vent’anni da numero uno
Kobe Bryant, oggi 39enne, fuoriclasse dei Los Angeles Lakers con cui ha vinto 5 campionati Nba

Kobe Bryant, oggi 39enne, fuoriclasse dei Los Angeles Lakers con cui ha vinto 5 campionati Nba

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Siamo ancora rimasti lì, a quell’ultima stratosferica partita, il 16 aprile del 2016. Dopo 1346 gare, il 37enne Kobe Bryant, fuoriclasse dei Los Angeles Lakers, metteva il punto alla sua storia d’amore con la pallacanestro con l’ennesima prestazione da urlo: sessanta punti (!) per mettere il sigillo su venti stagioni Nba da numero uno. Ma a più di un anno e mezzo da quell’uscita di scena, la sensazione è che Kobe sia ancora in campo. Tanto grande è l’alone mitico che si porta dietro e poi resistono negli occhi degli appassionati le sue prodezze e il tour da brividi con cui si è congedato in ogni palazzetto d’America. Lo dimostrano anche i diversi libri usciti di recente anche in Italia non fosse altro per l’orgoglio di essere stato il Paese in cui il piccolo Kobe ha mosso i suoi primi passi cestistici. E la leggenda si arricchirà presto di un nuovo capitolo visto che lunedì i suoi Lakers ritireranno non una, ma entrambe le sue maglie: la numero 8 che aveva scelto da ragazzino in Italia in onore di Mike D’Antoni, playmaker e capitano dell’Olimpia Milano. E la numero 24, scelta, secondo una versione credibile per rispecchiare la sua dedizione quotidiana, 24 ore su 24. Peccato che il ritiro delle sue maglie impedirà ai ragazzi di talento di sognare di vestire un giorno i suoi panni. Ciò che però va salvaguardato è quel che lascia il campione, ma anche l’uomo alle nuove generazioni. È delizioso allora il libro scritto e illustrato da un papà, Francesco Poroli, autore di Like Kobe. Il Mamba spiegato ai miei figli (Baldini & Castoldi, pagine 80, euro 14). Gli innamorati di questo sport lo leggeranno tutto d’un fiato, ma è un testo che fornisce un assist a tutti gli educatori. Ci sono senz’altro i record di Bryant (come gli 81 punti in un sola partita o i 40 contro ogni squadra Nba almeno una volta), ma anche le virtù di un vero campione: la capacità di rialzarsi dagli infortuni o di prendersi la responsabilità (non solo dell’ultimo tiro) e, perché no, anche numeri non proprio da supereroe come il primato dei tiri sbagliati nel 2014 con 13.418 errori. Già, perché è sempre vero che sbagliando si impara, ma il segreto è quello di non mollare mai. Il messaggio del papà appassionato è chiaro: «Mettere sul campo - sul proprio campo, qualunque sia il nome: famiglia, lavoro, amore, scuola - la stessa passione la stessa voglia di migliorarsi sempre, la stessa spinta a prendersi la responsabilità e non accontentarsi mai». Quando a Bryant chiedevano che cosa fosse per lui l’ossessione rispondeva: «È facile. Significa amare quello che stai facendo». E pensare che tutto è iniziato qui da noi. Nato infatti il 23 agosto 1978 a Filadelfia, Kobe ha vissuto dai sei ai tredici anni in Italia per via del padre, Joe, che giocò con Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia. Un legame con la nostra gente mai interrotto, tanto da chiamare le sue Natalia Diamante e Gianna Maria Onore. Sull’infanzia del campione dice molto un libro uscito due anni fa Un italiano di nome Kobe di Andrea Barocci (Absolutely Free) ricco di aneddoti e curiosità. «Rimarrò sempre quel bambino che scoprì il basket a sei anni» ha scritto nella sua lettera d’addio.

Attenzione però a farne un santino, parliamo pur sempre di un uomo con i suoi limiti e le sue debolezze. Un carattere non certo facile anche per i compagni di squadra. Eppure anche lui ha dovuto ammettere di non essere infallibile. Nel 2003 all’apice del successo l’accusa di stupro mossa da una cameriera lo fece piombare nella disperazione: il giocatore ammise il rapporto ma negò la violenza. Il giudice archivierà l’accusa ma fu decisiva una figura insospettabile: «Avevo venticinque anni. Ero terrorizzato. L’unica cosa che mi ha aiutato davvero durante quel processo - sono cattolico, sono cresciuto come cattolico, i miei figli sono cattolici - è stato parlare con un sacerdote. E lui mi disse: “Dio non ti darà nulla che tu non possa affrontare, e ora è tutto nelle sue mani. È una cosa che non puoi controllare, quindi lascia stare”. E quello è stato il punto di svolta». Per le sue infedeltà ha rischiato il divorzio dalla moglie Vanessa Cornejo sposata nel 2001. Nel 2013 però hanno annunciato di essersi riconciliati. La vicenda però l’ha segnato anche per un altro dramma svelato nel documentario Muse: «Durante quel periodo stavamo aspettando il nostro secondo figlio e c’era così tanta tensione e tanto stress che lei ebbe un aborto spontaneo. Perse il nostro bambino. È qualcosa di davvero terribile, è molto difficile ripensare a questa cosa ». Ma Kobe non dimentica: «Tutto ciò è avvenuto a causa mia. È una cosa con cui devo fare i conti ogni giorno, me la porterò dentro per sempre... Vanessa è stata fantastica, avrebbe potuto lasciarmi e portarmi via metà del mio patrimonio, ma ha deciso di credermi e di restarmi vicino».

Quando la vita ti manda al tappeto ecco che l’umiltà di riconoscere i propri errori ti dà la forza per rialzarti. Sul Kobe “privato” e sul ruolo giocato dalla moglie è interessante la monumentale biografia uscita ora Showboat, la vita di Kobe Bryant( 66th and 2nd, pagine 746, euro 25) scritta da Roland Lazenby che ricorda uno degli eventi più significativi della carriera di Bryant. Era il 14 dicembre 2014: il campione dei Lakers metteva a segno il punto numero 32.293, uno in più del suo idolo, sua maestà Michael Jordan, di cui Kobe ha raccolto l’eredità nell’immaginario cestistico collettivo. Ebbene quel giorno Bryant davanti a Vamessa e alle sue bambine ha raggiunto il terzo posto nella classifica dei migliori realizzatori Nba. «Si trattava - scrive Lazenby - di una quantità mostruosa di punti, ma la soddisfazione più grande era avere lì la sua famiglia a condividere con lui quel traguardo incredibile, nonostante tutti gli errori commessi. Quel momento fece tornare alla mente la dichiarazione di Bryant a proposito della riconciliazione. “Sono felice di annunciare che Vanessa e io abbiamo deciso di proseguire il nostro cammino come una famiglia” aveva scritto. “Quando cala il sipario e la musica si ferma, il viaggio è reso bellissimo dal fatto di avere qualcuno con cui condividerlo. Grazie per il vostro sostegno e per le vostre preghiere!”».

Non sorprende allora che oggi Kobe dichiari di non voler rientrare nel basket: «Mi piace moltissimo poter dedicare del tempo ai miei figli, alla mia famiglia e a me stesso. Mi sto godendo il lavoro con i bambini». Ed è netto quando gli si chiede se il basket gli manchi: «No, ed è strano. Ho cominciato a giocare a pallacanestro a due anni, e in tutto il tempo in cui ho giocato non ho mai pensato che avrei avuto una vita senza questo gioco. Adesso che ho smesso invece non mi manca per niente. Però mi ha insegnato tutto quello che so. Sono passato dal voler vincere titoli Nba al cercare di aiutare le giovani generazioni a diventare la miglior versione possibile di loro stessi. La mia sfida adesso è trasmettere a loro tutto quello che ho imparato».

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